È sempre più evidente come siano numerose le conseguenze fisiologiche, oltre che psicologiche, per gli astronauti impegnati in viaggi di lunga durata nello spazio. Lunghe permanenze in condizione di microgravità possono innescare patologie quali osteoporosi, diabete, la perdita di massa ossea e muscolare, ma anche problemi cardiaci e cecità spaziale.
Per gli equipaggi a bordo della Stazione Spaziale Internazionale è stata, inoltre, riscontrata una maggiore suscettibilità alle infezioni tra cui eruzioni cutanee e malattie respiratorie. Indice questo che anche il nostro sistema immunitario subisce l’influenza della microgravità.

Analizzando i campioni sanguigni da 14 astronauti, 11 uomini e tre donne, ospitati a bordo della Iss tra il 2015 e il 2019, una ricerca della Università di Ottawa e dell’Ottawa Hospital Research Institute ha ora scoperto che il nostro sistema immunitario subisce un rapido indebolimento nello spazio, deficit che sparisce però a seguito del rientro a Terra.

La ricerca, finanziata all’Agenzia spaziale canadese, è stata pubblicata su Frontiers in Immunology.

Lo studio si è concentrato sui globuli bianchi, isolandoli da 4 millimetri di sangue prelevati per 10 volte da ciascun astronauta: una volta prima del volo, quattro volte in orbita e cinque volte dopo il rientro sulla Terra. Sono stati così individuati 276 geni la cui capacità di produrre proteine o altre macromolecole nello spazio ha subito l’influenza della microgravità entro i sei mesi di permanenza sulla Iss.
247 di questi geni hanno riscontrato una riduzione numerica durante il viaggio spaziale, mentre i restanti 29 sono, invece, aumentati.
Dallo studio è emerso, inoltre, che i geni in deficit di produzione hanno una funzione predominante legata all’immunità, mentre quelli in aumento sono finalizzati a strutture e funzioni cellulari.

Questa influenza, che causa una rapida diminuzione della forza del nostro sistema immunitario nello spazio, scompare, tuttavia, dopo il rientro a Terra. In poche settimane, o al massimo entro un anno, la maggior parte dei geni di entrambi i gruppi (deficit e aumento) torna, infatti, ai livelli precedenti al volo grazie all’influenza ora della gravità terrestre.

Un riscontro da cui emerge che gli astronauti di rientro corrono un rischio elevato di infezione per almeno un mese dopo l’atterraggio sulla Terra.

Secondo i ricercatori, l’alterazione della capacità dei geni nello spazio, da cui ne consegue l’indebolimento del sistema immunitario, sarebbe causato dallo spostamento interno dei fluidi corporei subìto da un astronauta al suo arrivo nello spazio a causa della microgravità. Il plasma sanguigno viene, infatti, ridistribuito dalla parte inferiore a quella superiore del corpo, compreso il sistema linfatico, provocando così una riduzione del volume plasmatico tra il 10% e il 15% nei primi giorni di permanenza nello spazio.

La ricerca mostra quindi sia i rapidi adattamenti del sistema immunitario in risposta all’ingresso nell’ambiente spaziale, ma anche come l’uscita dalla microgravità e il rientro alle condizioni terrestri siano legati a una riattivazione immunitaria.

 

Immagine in evidenza:  l’astronauta Chris Hadfield mostra come pulire la faccia sulla Iss in caso di malattia per evitare la diffusione di patogeni. Crediti: Nasa