Comprendere la metallicità delle diverse aree del cosmo, ossia la composizione e la distribuzione degli elementi gassosi, può aiutare gli astronomi a capire quante e quali tipi di stelle si stanno formando nei diversi ambienti ricchi di gas interstellare, compreso il lontano Universo.
Questo è dovuto al fatto che la maggior parte degli elementi pesanti sono prodotti all’interno delle stelle. Uno dei termometri principali in questo senso è il rapporto tra ossigeno e idrogeno.

Per comprendere le percentuali dei diversi elementi gassosi vengono studiate le impronte spettrali che caratterizzano gli ioni presenti in una regione cosmica.
Sono due i principali metodi utilizzati a tale scopo: quello dell’‘eccitazione collisionale’ e quello della ‘ricombinazione’.

Il primo analizza le linee spettrali prodotte dalle collisioni fra atomi ed elettroni presenti nel gas. Il secondo, invece, si concentra sulle linee spettrali prodotte quando gli ioni, ossia atomi a cui manca un elettrone, catturano elettroni liberi. Le linee spettrali della ricombinazione risultano molto più deboli rispetto a quelle collisionali, decisamente più forti..
Uno dei principali problema è che questi metodi forniscono due misure assai differenti sulla quantità di ossigeno presente in un’ambiente, stime che non combaciano tra di loro. Il metodo delle linee di ricombinazione produce stime che risultano sempre circa il doppio rispetto a quelle fornite dal metodo dell’eccitazione collisionale.
Pur non essendo mai stato dimostrato, gli scienziati hanno ipotizzato finora che questo ‘fattore di discrepanza’ sia dovuto alle fluttuazioni di temperatura nelle nuvole di gas.
Il processo di ‘eccitazione collisionale’ è ritenuto, infatti, sensibile alle temperature, mentre le linee di ‘ricombinazione’ non subiscono tale influenza.

Questo dilemma è stato ora risolto da una nuova ricerca, pubblicata su Nature Astronomy. I ricercatori del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università della California, guidati da Yuguang Chen, hanno utilizzato l’astronomia ottica e infrarossa per misurare l’abbondanza di ossigeno sulla galassia nana Markarian 71, a circa 11 milioni di anni luce dalla Terra.

«Abbiamo utilizzato una combinazione di linee di emissione ottiche e nel lontano infrarosso per misurare e correggere gli effetti di fluttuazione della temperatura. – ha spiegato Chen – Il nostro risultato nel lontano infrarosso è incoerente con la metallicità delle linee di ricombinazione, ma presenta una distorsione minima con il metodo di eccitazione collisionale, escludendo l’ipotesi di vecchia data che il fattore di discrepanza dell’abbondanza sia spiegato dalle fluttuazioni di temperatura. Questo risultato è molto sorprendente per noi».

Anche dopo aver eliminato l’effetto della temperatura, il risultato ottenuto dalle linee infrarosse prodotte dall’‘eccitazione collisionale era ancora inferiore del 50% rispetto al metodo delle linee di ricombinazione, smontando così per la prima volta l’ipotesi che le fluttuazioni di temperatura nelle nuvole di gas siano la causa della discrepanza tra i due metodi di misurazione delle linee spettrali.

Il team ha utilizzato i dati di Sofia (Stratospheric Observatory For Infrared Astronomy), un telescopio Nasa/Dlr ora dismesso, montato su un Boeing 747 che volava a circa 13 chilometri di altitudine e i dati del telescopio spaziale a infrarossi Herchel (Far Infrared and Sub-millimetre Telescope) dell’Esa in orbita fino al 2013. Ora, l’obiettivo è raccogliere dati con i telescopi di nuova generazione.

«I nostri risultati forniscono un quadro per misurare con precisione la metallicità attraverso la storia cosmica. Siamo in attesa dei dati che arriveranno dal primo miliardo di anni, con il James Webb Space Telescope e l’Atacama Large Millimeter Array» ha concluso Chen.

 

Immagine in evidenza: la galassia Markarian 71 vista da Hubble – Crediti: Nasa