Il gigante ad anelli del nostro Sistema solare non smette di stupire. E svela un segreto che era «rimasto in bella vista per oltre 40 anni», come ha affermato la Nasa. Utilizzando i dati raccolti dal 1980 a oggi dalle missioni dell’agenzia spaziale statunitense Voyager 1 e 2, International Ultraviolet Explorer, Cassini e Hubble, un team di astronomi ha infatti messo in luce una proprietà inaspettata di Saturno: il vasto sistema di anelli sta riscaldando l’atmosfera superiore del pianeta gigante. Il fenomeno non è mai stato osservato prima non solo su Saturno, ma nell’intero Sistema solare.

La scoperta, pubblicata su The Planetary Science Journal, è stata possibile grazie all’individuazione di un eccesso di radiazione ultravioletta nell’idrogeno dell’atmosfera di Saturno. L’aumento della radiazione indica la presenza di un elemento esterno in grado di riscaldare l’atmosfera superiore del pianeta.  Combinando i dati delle quattro missioni statunitensi, il team di ricerca ha ipotizzato che a provocare il riscaldamento siano le particelle ghiacciate degli anelli di Saturno. La ‘caduta’ di queste particelle può essere dovuta all’impatto di micrometeoriti, al bombardamento di particelle del vento solare, alla radiazione ultravioletta solare o ancora a forze elettromagnetiche che raccolgono polveri elettricamente cariche. Tutto questo avviene sotto l’influenza del campo gravitazionale di Saturno, che attira le particelle verso il pianeta.

Un fenomeno immortalato ‘in diretta’ da Cassini alla fine della sua missione: nel settembre 2017 la sonda si è tuffata tra gli anelli di Saturno, raccogliendo una miniera d’oro di dati sul gigante gassoso. Tra questi, anche la conferma della caduta di molte particelle dagli anelli verso il pianeta. Ma nessuno, fino ad oggi, aveva legato questo fenomeno a un possibile riscaldamento dell’atmosfera di Saturno.

«Sebbene la lenta disintegrazione degli anelli sia ben nota, la sua influenza sull’idrogeno atomico del pianeta è una sorpresa. Grazie alla sonda Cassini, frutto della collaborazione tra Nasa, Esa ed Agenzia Spaziale Italiana, sapevamo già dell’influenza degli anelli. Tuttavia, non sapevamo nulla del contenuto di idrogeno atomico», spiega Lotfi Ben-Jaffel dell’Istituto di Astrofisica di Parigi e del Lunar and Planetary Laboratory dell’Università dell’Arizona, prima firma dello studio.

Per determinare il contenuto dell’idrogeno atomico nell’atmosfera di Saturno, Ben-Jaffel e colleghi hanno combinato i dati di Cassini con quelli delle due sonde Voyager che hanno sorvolato Saturno negli anni ’80, dell’International Ultraviolet Explorer lanciato nel 1978, e del veterano dell’osservazione spaziale Hubble, ad oggi ancora attivo. I risultati hanno dimostrato l’eccesso di luce ultravioletta – dato che in passato era stato sì registrato, ma catalogato come un ‘rumore’ dei rivelatori. Non corrispondente quindi a un fenomeno reale.

E invece la chiave per ricomporre il puzzle è stato lo spettrografo Stis a bordo di Hubble: le sue osservazioni di precisione di Saturno sono state utilizzate per calibrare i dati Uv d’archivio di tutte le altre missioni spaziali che hanno osservato il pianeta. Confermando quindi che la radiazione ultravioletta in eccesso era effettivamente presente. E che i responsabili del fenomeno sono proprio gli anelli del gigante gassoso.

 

Immagine in apertura: Il rigonfiamento Lyman-alfa di Saturno, un’emissione persistente e inaspettata di idrogeno rilevata dal nuovo studio. Crediti: Nasa, Esa, Lotfi Ben-Jaffel (Iap & Lpl)