Produrre un menisco umano a grandezza naturale sulla Iss sfruttando la stampa 3D: è l’obiettivo dei ricercatori di Redwire Space, i quali confidano nell’ambiente di microgravità per risolvere le difficoltà che la stampa 3D riscontra inevitabilmente sulla Terra a causa della gravità.

La stampa 3D è una delle innovazioni che hanno rivoluzionato la chirurgia, specialmente quella ortopedica: grazie a essa si realizzano protesi e impianti personalizzati, modellabili sull’osso del paziente. Tuttavia, la gravità terrestre non permette sempre di sfruttare a pieno le sue potenzialità: la sua influenza, infatti, rende molto difficile la stampa dei tessuti molli, ossia tutti quelli che non hanno la densità dell’osso. Tra questi vi è il menisco, un pezzo di cartilagine a forma di mezzaluna che permette al ginocchio di muoversi liberamente.

Facilmente soggetto a lesioni, la rottura del menisco rientra tra i casi più complicati da risolvere con la stampa 3D.

La BioFabrication Facility  di Redwire installata sulla Iss

Con l’obiettivo di sviluppare metodi più efficaci per trattare la sua lacerazione o rottura, verrà stampato in 3D sulla Iss il primo menisco completo, sfruttando la BioFabrication Facility (Bff), tecnologia realizzata da Redwire e installata sul laboratorio orbitante nel novembre 2022. Per realizzare l’impresa verranno utilizzate le forniture trasportate dalla missione commerciale Crs27 di SpaceX, il cui lancio è previsto il 14 marzo.

Nel 2019, la Bff è stata già protagonista della stampa di un menisco parziale e di un tessuto cardiaco. Grazie a un recente aggiornamento, che consente un maggiore controllo della temperatura e un nuovo sistema di imaging per migliorare il processo di stampa, ora si punta al primo menisco completo realizzato in microgravità.

«Il menisco è ottimo perché è molto avascolare, cioè privo di vasi sanguigni, cosa che tende a frenare la stampa 3D su larga scala – afferma Rich Boling, vicepresidente di Redwire – Quindi, nel momento in cui lo stampate, siete già più vicini al tessuto umano di quanto lo sareste se iniziaste a cercare di stampare un cuore».

Se l’impresa dovesse andare a buon fine, obiettivo successivo di Redwire sarà quello di stampare e coltivare in microgravità degli organoidi, strutture prodotte artificialmente molto simili agli organi umani. Questa nuova frontiera permetterà di testare e sviluppare nuovi farmaci, nonché di far progredire l’ingegneria tissutale.

Immagine in evidenza: l’astronauta della Nasa Josh Cassada lavora all’installazione della BioFabrication Facility sulla Stazione Spaziale Internazionale. Crediti: Nasa