È una delle regioni di formazione stellare più briose nel vicinato galattico e, fino a poco tempo fa, rappresentava un vero e proprio rebus per gli studiosi: si tratta di Ngc 346, un cluster situato a circa 200mila anni luce di distanza dalla Terra, nella Piccola Nube di Magellano.
L’alone di mistero che circondava questo ammasso stellare ha iniziato a diradarsi, grazie alle osservazioni effettuate dal telescopio Webb con lo strumento NirCam; i risultati dell’indagine sono stati presentati ieri al 241° convegno dell’American Astronomical Society, in corso a Seattle.
La ricerca ha preso il via dall’analisi dell’ambiente in cui si trova Ngc 346: la Piccola Nube di Magellano, appunto. Questa galassia nana, ‘vicina di casa’ della nostra, contiene – almeno apparentemente – concentrazioni poco elevate di elementi più pesanti (chiamati ‘metalli’ dagli astronomi) dell’idrogeno e dell’elio rispetto alla Via Lattea; i dati del telescopio Nasa-Esa-Csa, invece, evidenziano una buona presenza degli elementi considerati i ‘mattoni’ di stelle e pianeti.
Gli studiosi tengono in grande considerazione la Piccola Nube, dato che le sue caratteristiche sono simili a quelle delle galassie di un’epoca della storia dell’Universo nota come ‘mezzogiorno cosmico’ (cosmic noon); in quel periodo, circa 10 miliardi di anni fa, le galassie stavano vivendo un intenso picco nella loro attività di formazione stellare.
A quell’epoca, regioni dinamiche come Ngc 346 erano molto diffuse nelle galassie; oggi, questo ammasso rappresenta un unicum all’interno della Piccola Nube e permette agli astronomi di studiare uno scenario del passato. Grazie al Webb è stato possibile analizzare le proto-stelle ancora in fase di formazione, con particolare riferimento a quelle più piccole di un decimo rispetto al Sole.
Gli astri, nella fase in cui cominciano a crearsi, radunano gas e polveri dalla nube molecolare che li circonda: questi materiali, che nell’immagine realizzata dal telescopio appaiono come una sorta di nastri, si addensano intorno ai dischi di accrescimento che nutrono le proto-stelle. I ricercatori avevano in precedenza rilevato il gas intorno a questi astri embrionali, ma solo con il Webb sono riusciti a osservare per la prima volta le polveri in questi dischi.
Inoltre, i pennacchi e gli archi visibili nella foto contengono due tipi di idrogeno: quello energizzato (in rosa) e quello molecolare (in arancione). Il primo raggiunge livelli di calore molto elevati (anche più di 10mila °C), mentre il secondo ha temperature più fredde (circa -200°C) e rappresenta un ambiente favorevole per la nascita di nuove stelle. Ngc 346 è stato analizzato anche da un altro strumento del Webb, il NirSpec che ha raccolto dati spettroscopici ancora in corso di valutazione.
In alto: il cluster Ngc 346 visto dal Webb – Crediti: Nasa, Esa, Csa, O. Jones (Uk Atc), G. De Marchi (Estec), e M. Meixner (Usra). Processamento immagine: A. Pagan (StSci), N. Habel (Usra), L. Lenkic (Usra) e L. Chu (Nasa/Ames). L’immagine nelle dimensioni originali a questo link.