Produce cambiamenti spesso irreversibili nelle proprietà delle acque marine – ad esempio, la temperatura, la salinità, la pressione e la presenza di nutrienti – come risultato di processi meccanici e fisici, quali l’azione dei venti e delle maree e il congelamento delle acque di superficie: si tratta della miscelazione degli oceani (ocean mixing), un fenomeno insidioso che minaccia gli ecosistemi e ha un ruolo rilevante anche nel cambiamento climatico.
Tra i fattori scatenanti di questo rimescolamento vi sono anche gli tsunami sottomarini: lo afferma un nuovo studio di Science Advances (articolo: “Internal tsunamigenesis and ocean mixing driven by glacier calving in Antarctica”), centrato particolarmente sull’Antartide.
L’indagine, che si basa su una pluralità di dati (inclusi quelli satellitari di Landsat 8), ha coinvolto numerosi enti ed è stata coordinata dal Bas (British Antarctic Survey) di Cambridge; la ricerca è centrata sul William, un ghiacciaio della Penisola Antartica che l’istituzione inglese segue sin dal 1955.
Questo ghiacciaio è interessato da eventi di distacco (ice calving) da cui si generano iceberg che possono raggiungere dimensioni considerevoli; avvenimenti di questo tipo si verificano circa 1-2 volte l’anno e possono produrre anche gli tsunami sottomarini analizzati nello studio. Secondo gli autori, questo fattore sinora non è stato sufficientemente considerato nelle ricerche e nei modelli informatici sulla miscelazione oceanica.
Il gruppo di lavoro si è trovato ad assistere a un distacco dal William proprio mentre si trovava su una nave oceanografica per effettuare rilievi in situ; questa circostanza, avvenuta il 21 gennaio 2020, ha permesso agli scienziati di registrare uno tsunami di vaste proporzioni all’interno delle acque marine che ha mandato in tilt le misurazioni, soprattutto per quanto riguarda il parametro della temperatura. Infatti, prima del distacco la temperatura era più fredda a circa 50-100 metri di profondità e più calda al di sopra; dopo, essa risultava molto più omogenea nelle varie profondità prese in considerazione.
Le rilevazioni in situ sono state poi integrate con modelli informatici e con i dati satellitari di Landsat 8, programma di osservazione della Terra gestito congiuntamente dalla Nasa e dalla Usgs (United States Geological Survey); il programma, che ha preso il via con Landsat 1 il 23 luglio 1972, è tuttora in corso con due satelliti attivi, l’8 appunto e il 9.
I dati di Landsat 8 sono stati utilizzati per valutare l’effettiva entità dell’evento di distacco: sono state messe a confronto immagini satellitari realizzate prima del calving, il 17 gennaio, e qualche giorno dopo, il 24 gennaio. I dati sono serviti per calcolare la perdita di ghiaccio superficiale (circa 78mila metri quadri) e fare una stima di quella del ghiaccio al di sotto del livello del mare; tutto l’insieme di queste informazioni è servito per determinare la quantità di energia rilasciata dal distacco e quindi la portata dello tsunami sottomarino. È la prima volta – sottolineano gli studiosi – che viene registrato un fenomeno del genere e la scoperta è di fondamentale importanza per comprendere i meccanismi sottesi alla miscelazione degli oceani.
«Spesso le scoperte scientifiche più rilevanti ed entusiasmanti sono fortuite – capita di essere nel posto giusto, al momento giusto e con persone e strumenti adeguati – e quando si comprende che è una questione importante, occorre solo modificare il piano di lavoro per sfruttare al massimo ciò che la natura ha offerto – ha dichiarato James Scourse, direttore del Dipartimento di Scienze terrestri e ambientali dell’Università di Exeter che, al momento del calving, era sulla nave oceanografica come Principal Scientific Officer – Lo abbiamo fatto nel gennaio 2020 e di conseguenza abbiamo prodotto i primi dati su un processo che ha implicazioni sulla velocità con cui l’oceano è in grado di sciogliere le calotte glaciali: un fenomeno che ha delle conseguenze per tutti noi», conclude lo scienziato.
In alto: alcuni frame dai modelli e dalle immagini satellitari utilizzati per lo studio (Crediti: Meredith et al., Science Avdances 8 2022).