Indagando con il telescopio Gemini North le nubi attorno a uno dei quasar più lontani, un team di ricercatori ha individuato quelli che potrebbero essere i resti chimici delle stelle di prima generazione, astri nati quando l’universo aveva solo 100 milioni di anni, ossia meno dell’1% della sua età attuale. La ricerca della Association of Universities for Research in Astronomy (Aura), ancora in fase di pubblicazione, potrebbe fornire importanti informazioni su come la materia dell’universo si sia evoluta fino a diventare quella conosciuta oggi.

L’oggetto al centro dello studio è Ulas J1342+0928, quasar generato dal buco nero più lontano tra quelli noti, distante 13,1 miliardi di anni luce. I quasar sono galassie attive: la loro estrema luminosità è generata dal buco nero supermassiccio ospitato nel nucleo galattico, o meglio dall’attrito del gas e delle polveri in caduta nel grande fagocitatore. Tuttavia il quasar è circondato da nuvole giganti di gas ad altissime temperature che riescono a sfuggire al controllo del buco nero. Quando la luce emessa dal quasar attraversa queste nuvole, una parte di essa viene assorbita a particolari lunghezze d’onda corrispondenti agli elementi presenti nelle nuvole.

Queste nubi incandescenti sono state ora indagate attorno a Ulas J1342+0928 attraverso lo spettrografo Gnirs (Gemini Near-Infrared Spectrograph) del telescopio Gemini North. Scomponendo la luce nelle sue diverse lunghezze d’onda, lo spettro fornito dallo strumento rivela le firme lasciate da ogni elemento chimico nelle nuvole di gas. Dedurne la quantità è, tuttavia, un’impresa ardua in quanto la luminosità di una linea spettrale dipende da molti altri fattori, non solo dall’abbondanza di uno specifico elemento.

Due coautori della ricerca, Yuzuru Yoshii e Hiroaki Sameshima dell’Università di Tokyo, hanno trovato però un modo per superare tale ostacolo, riuscendo a sviluppare un metodo innovativo per stimare dallo spettro di un quasar l’abbondanza degli elementi presenti introno a esso. I ricercatori hanno rilevato, così, una inaspettata proporzione tra il ferro e il magnesio all’interno delle nubi di Ulas J1342+0928: qui le concentrazioni di ferro risultano, infatti, 10 volte superiori a quelle del magnesio rispetto al rapporto tra gli stessi elementi riscontrabile nel Sole.

Gli scienziati ritengono che tale peculiarità possa appartenere solo a un caso: il materiale residuo di una stella di prima generazione esplosa come supernova a instabilità di coppia. Questa è una maestosa esplosione che determina la morte di stelle gigantesche, con masse comprese tra 150 e 250 volte quella del Sole. Non lasciando resti stellari, questi eventi drammatici sono identificabili esclusivamente dalla firma chimica del materiale che espellono nello spazio interstellare.

Grazie al metodo innovativo sviluppato, la ricerca potrebbe fornire, dunque, la firma più chiara mai ottenuta di una supernova a instabilità di coppia sulla base del rapporto delle abbondanze del ferro e del magnesio. Un riscontro che dovrà essere però appurato attraverso altre osservazioni, per verificare se ulteriori oggetti presentano caratteristiche simili.

Immagine in evidenza: Illustrazione artistica di come le stelle di prima generazione sarebbero apparse appena 100 milioni di anni dopo il Big Bang. Gli astronomi potrebbero aver scoperto i primi segni dei loro antichi resti chimici nelle nubi che circondano uno dei quasar più distanti mai rilevati. Crediti: NoirLab/Nsf/Aura/J. da Silva/Spaceengine