Il loro ciclo vitale è fortemente influenzato dallo spirare dei venti che le altera fino a disgregarle e, quindi, a cambiare i connotati del paesaggio: sono le rocce del Pianeta Rosso, i cui mutamenti dovuti all’azione erosiva delle raffiche sono al centro di uno studio pubblicato su Journal of Geophysical Research – Planets (articolo: “Burial and Exhumation of Sedimentary Rocks Revealed by the Base Stimson Erosional Unconformity, Gale Crater, Mars”).
La ricerca, basata sui dati raccolti dal rover Curiosity della Nasa nel cratere Gale, fa parte di una più ampia indagine (ancora in corso) mirata a fornire un quadro completo della geologia marziana. Il primo autore del paper è l’astronauta Nasa Jessica Watkins, attualmente sulla Stazione Spaziale con l’equipaggio dell’Expedition 67 di cui fa parte anche Samantha Cristoforetti; Jessica, geologa, ha dato il suo input finale all’articolo mentre era già nello spazio.
L’azione del vento è la principale forza erosiva che agisce su Marte, anche se il volume dell’atmosfera del pianeta (solo l’1% rispetto a quella della Terra) farebbe pensare il contrario. Il ruolo effettivo delle raffiche è stato spesso oggetto di discussione, tuttavia – secondo gli autori dell’articolo – esse sono state un elemento-chiave nel ciclo vitale delle rocce nel passato del corpo celeste, prima di 3 miliardi di anni fa.
Il vento, quindi, ha portato allo scoperto le rocce sedimentarie del Pianeta Rosso e poi, agendo come una sorta di piumino per la polvere, le ha erose: un processo decisamente differente rispetto a quelli che avvengono sulla Terra, dove questo tipo di roccia subisce le conseguenze dei movimenti tettonici delle placche e, successivamente, viene plasmata dall’acqua.
I dati di Curiosity impiegati per lo studio si riferiscono in particolare a una formazione rocciosa del cratere Gale: la Murray Formation, uno strato di argillite spesso 300 metri e formato da fango di grana fine compattatosi nel corso degli anni. I ricercatori hanno notato che la roccia è stata erosa dall’alto verso il basso e che i sedimenti depositatisi sulla parte superiore mostrano tracce di antiche dune prodotte dal vento. Il cratere – concludono gli autori – è veramente un ottimo laboratorio naturale perché presenta testimonianze molteplici dei processi erosivi che hanno interessato il Pianeta Rosso.
In alto: la Murray Formation ripresa dalla sonda Mro della Nasa (Crediti: Nasa-Jpl/Caltech)