Dimostrare che è possibile produrre in modo automatizzato fibre ottiche di alta qualità in microgravità: è l’obiettivo dei carichi utili arrivati lo scorso 16 luglio sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss). Lanciati due giorni prima a bordo della missione commerciale SpaceX Crs-25, questi sono Space Fibers 3 e l’Orbital Fiber Optic Production Module (Orfom), sviluppati rispettivamente dalle aziende americane Foms e Mercury Systems.

La fibra ottica consiste in filamenti vetrosi flessibili e trasparenti in grado di condurre al loro interno la luce. Molto utilizzata nelle comunicazioni, questa tecnologia riesce a trasmettere dati su distanze maggiori e con larghezze di banda più elevate rispetto ai cavi elettrici. Tra le diverse famiglie di fibre ottiche, la più performante è rappresentata dai cavi Zblan, ossia basati sulla composizione chimica costituita da zirconio, bario, lantanio, alluminio e sodio: quelli Zblan hanno una capacità di trasmissione 100 volte superiore ai tradizionali cavi in silicio.
Questa tecnologia, tuttavia, paga un ostacolo naturale che mina la sua potenzialità. Nel processo di produzione a Terra, il materiale Zblan ha la tendenza a cristallizzare, ossia abbandonare il suo stato simile al vetro con il rischio di degradare gravemente le sue proprietà ottiche.

Dagli anni 90 la Nasa, attraverso il Marshall Space Flight Center, ha quindi sperimentato la produzione di fibre ottiche in microgravità attraverso la ricerca sui razzi suborbitali. Nel 2012 le sperimentazioni Nasa si sono svolte anche sui voli parabolici, sfruttando i loro brevi e ripetuti intervalli di assenza di peso.
Focalizzandosi molto sulla tecnologia Zblan, questi test hanno mostrato che le fibre realizzate nello spazio sono più lisce e uniformi di quelle prodotte nei laboratori a Terra. La produzione in microgravità permette, infatti, una maggiore omogeneità del materiale vetroso eliminando le imperfezioni che limitano la capacità di trasmissione.

Selezionati attraverso il progetto In Space Production Applications (InSpa) del Johnson Space Center di Nasa, gli hardware Foms e Mercury Systems hanno già usufruito delle sperimentazioni sia sui voli parabolici, sia sulla Stazione Orbitante. Il team di Mercury Systems, nello specifico, è riuscito a produrre in microgravità fibre lunghe fino a 20 metri, il tutto però manualmente con un dispendio importante di tempo e d energie da parte degli astronauti.
L’obiettivo della nuova missione è, invece, quello convalidare un processo di produzione più automatizzato con un ruolo attivo degli astronauti molto più ridotto.
Nelle attività previste nelle prossime quattro settimane, due per ciascun hardware Foms e Mercury Systems, gli astronauti dovranno, infatti, solo caricare nell’impianto di produzione le materie prime, ossia un sottile cilindro di vetro Zlan. Tutto il resto dell’operazione sarà completamente automatizzato.
Le istruzioni per mettere in pratica questa nuovo approccio sono state consegnate all’equipaggio durante recenti voli parabolici di preparazione.

Spetterà poi al programma InSpa di valutare i risultati ottenuti sulla Iss, e capire, così, se sarà più chiara la strada verso la produzione di fibre ottiche nello spazio nel prossimo futuro.

Immagine in evidenza: test sul carico utile Space Fibers 3 su un volo parabolico supportato dalla Nasa nel novembre 2021. Crediti:  Zero Gravity Corporation/Steve Boxall