Chandra, l’osservatorio a raggi X della Nasa, ha immortalato un fascio di materia e antimateria da record. Un filamento sterminato alimentato da una pulsar relativamente piccola chiamata J2030, situata a circa 1.600 anni luce dalla Terra. Le pulsar sono stelle di neutroni con un fortissimo campo magnetico e nascono dal collasso di una stella massiccia.

J2030 è un oggetto denso con un diametro di appena 16 km: una città metropolitana in grado però di generare un’autostrada cosmica di raggi X che va ben oltre il sistema solare. Il più lungo filamento da una pulsar visto dalla Terra. Chandra è l’unico satellite in grado con la sua risoluzione angolare di farci vedere sia il filamento da record sia la pulsar che lo ha generato.

Questa stella di neutroni viaggia nel cosmo a circa un milione e mezzo di km all’ora, una velocità di crociera elevata che, come succede per una barca, forma un’onda davanti alla prua, generando però in questo caso una bolla di gas: un vento di particelle cariche, solitamente confinate all’interno del potente campo magnetico della pulsar.

Le osservazioni di Chandra hanno mostrato che circa 20 o 30 anni fa la pulsar ha raggiunto e attraversato la bolla, generando così un’onda d’urto chiamata bow-shock. Una fuga di particelle causata dall’incontro tra il campo magnetico della pulsar e quello del mezzo interstellare. La propagazione delle particelle cariche ha generato così il filamento a raggi X.

«L’estensione del filamento ci da una grande informazione sulla dinamica dell’evento – afferma Andrea Marinucci: dell’Agenzia Spaziale Italiana (Unità di ricerca spaziale)  – l’estensione, che è dell’ordine di 7 anni luce, ci dice che questo evento fisico è accaduto circa dieni anni fa. Il bow-schock è stato stimato essere accaduto circa 20 o 30 anni fa, e studiare eventi con un tempo scala di questa portata in astrofisica succede molto raramente».

Scoperto per la prima volta nel 2020, ma allora scovato solo parzialmente, il filamento è stato osservato nella sua totalità nel 2021, mostrandosi circa tre volte più lungo di quanto precedentemente percepito. Il suo studio, ora, potrà fornire importanti indizi sul ruolo delle pulsar in quanto potenziali generatrici di antimateria: le rotazioni veloci e i forti campi magnetici potrebbero essere, infatti, la spinta a una fuga di positroni, l’antiparticella dell’elettrone, diffondendo così il mattone dell’antimateria nello spazio interstellare. 

«Poche pulsar hano mostrato questo comportamento – conclude Andrea Marinucci– in questo caso siamo riusciti a datare l’evento, quindi quando questa fuga di particelle cariche è avvenuta».

Immagine: Nasa/Cxc/Stanford Univ./M. de Vries; Optical: Nsf/Aura/Gemini Consortium