È andata in mille pezzi in soli tre giorni, venendo meno al suo ruolo di baluardo per le vicine distese glaciali della Penisola Antartica: protagonista del drammatico evento è una vasta massa di ghiaccio che si è staccata dalla piattaforma Larsen B e si è allontanata galleggiando. La rottura, avvenuta tra il 19 e il 21 gennaio di quest’anno, è stata osservata dai satelliti Terra e Aqua della Nasa ed è al centro di un recente studio di Remote Sensing of Environment (articolo: “Observing the disintegration of the A68A iceberg from space”).

L’indagine, condotta da un gruppo di ricercatori del Centro per l’Osservazione e la Modellistica Polare dell’Università di Leeds e della British Antarctic Survey, si basa su una pluralità di dati satellitari, tra cui quelli raccolti da Modis (Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer), uno degli strumenti principali a bordo delle missioni Terra e Aqua. Sono stati impiegati anche i dataset di Sentinel-1 e 3 (programma europeo Copernicus), di CryoSat-2 (Esa) e di IceSat-2 (Nasa).

L’area glaciale andata in frantumi era stata piuttosto stabile per una decina di anni e aveva protetto dall’azione del mare i ghiacciai situati alle sue spalle. Venuto meno il suo ruolo difensivo, le zone glaciali dei dintorni hanno perduto la loro solidità: lo sguardo acuto dei satelliti Terra e Aqua, infatti, ha osservato anche il distacco di iceberg dai ghiacciai vicini, come il Crane. Queste aree sono diventate più vulnerabili e il processo di scioglimento causato dall’acqua marina sta conoscendo un preoccupante incremento: quindi, i ghiacciai che costeggiano la Penisola Antartica ora si protendono pericolosamente verso la battigia.

Secondo gli studiosi, non è facile individuare la causa che ha portato alla frammentazione della massa di ghiaccio, anche se su di essa erano già presenti delle spaccature. Tra i fattori scatenanti sono stati presi in considerazione il maggiore livello di calore delle temperature estive e l’azione del vento föhn, che ha portato con sé aria calda e umida. Il gruppo di lavoro ha inoltre riscontrato che quest’anno le fessurazioni sulle piattaforme glaciali si sono verificate prima del solito e potrebbero aver contributo a minare la solidità del ghiaccio.

Eventi traumatici come quello oggetto dello studio potrebbero verificarsi con maggiore frequenza per l’innalzamento delle temperature e il cambiamento negli schemi climatici. Tuttavia, grazie al monitoraggio via satellite, gli scienziati ora sono in grado di seguire costantemente l’andamento delle piattaforme glaciali, puntando soprattutto la loro attenzione su Larsen D, l’ultima porzione stabile di quello che era un tempo il Larsen Ice Shelf. La vicinanza al Polo Sud ha finora tutelato Larsen D, ma gli studiosi si stanno chiedendo per quanto ancora potrà resistere. La riduzione delle emissioni dalle attività umane – concludono gli studiosi – è fondamentale per preservare sia il ghiaccio della Penisola Antartica, sia le più grandi calotte glaciali dell’Antartide orientale e occidentale.

In alto: la piattaforma Larsen B vista dallo strumento Modis (Crediti: Modis, Nasa Earth Observatory).