Quando parliamo di space mining ci riferiamo alle operazioni di estrazione e sfruttamento delle risorse minerarie dei Near-earth Objects (satelliti naturali, asteroidi, comete e altri corpi celesti). Secondo fonti autorevoli, un asteroide potrebbe avere un valore medio di 30 miliardi di dollari; infatti, un chilometro di asteroide sarebbe in grado di fornire un miliardo di tonnellate di ferro, duecento milioni di tonnellate di nickel, dieci milioni di tonnellate di cobalto e ventimila tonnellate di platino.

L’interesse, non esclusivamente di carattere economico ma anche scientifico, verso il patrimonio minerario dello spazio extra-atmosferico trova la sua origine nelle missioni del programma spaziale Apollo; in particolare nelle missioni di allunaggio successive alla celebre missione Apollo 11, grazie alle quali furono trasportati sul pianeta Terra numerosi campioni lunari (sabbia, polvere e rocce).

L’evento che ha dato realmente il via a questa “febbre dell’oro” è il successo conseguito dalla sonda giapponese Hayabusa, lanciata dalla Jaxa (Japan Aerospace Exploration Agency) il 9 maggio 2003 e rientrata sulla Terra il 13 giugno 2010. Lo scopo della missione era far atterrare la sonda Hayabusa sull’asteroide 25143 Itokawa e prelevare dei campioni dalla sua superfice.

Pochi anni dopo, il 3 dicembre 2014, la JAXA ha lanciato una seconda sonda con il medesimo obbiettivo; si tratta della Hayabusa 2, che il 6 dicembre 2020 ha fatto pervenire sulla Terra la capsula contenente i campioni minerari estratti sull’asteroide 162173 Ryugu (le dimensioni dei singoli frammenti vanno da 1mm a 8mm, per un totale di circa 5,4gr).

Attualmente l’Hayabusa 2 è ancora operativa ed è diretta verso l’asteroide 1998 XY26.

Ryugu, di circa 900m di diametro ed appartenente al gruppo di asteroidi Apollo, sarebbe composto principalmente da carbonio. I campioni recuperati da Hayabusa 2 sono attualmente oggetto di studio condotto dai due team di ricerca presso i laboratori della JAXA. Oggi, a seguito delle recenti pubblicazioni su Nature Astronomy, possiamo già brevemente presentarvi quanto scoperto finora.

Il primo team ha riferito che i frammenti di Ryugu risulterebbero più scuri del previsto, in quanto capaci di riflettere soltanto tra il 2% e il 3% della radiazione solare. Inoltre, è stata appurata la fragilità del corpo celeste; fragilità determinata dalla porosità dei suoi frammenti, pari al 46% (la più alta mai rinvenuta in un asteroide o in un meteorite). Da ciò si deduce un alto livello di innocuità dell’asteroide, infatti, qualora un giorno dovesse precipitare sulla Terra, data la sua conformazione, ne conseguirebbe la sua disintegrazione già all’interno dell’atmosfera terrestre. Il secondo gruppo ha invece rilevato che i campioni di Ryugu sarebbero di matrice idratata, al cui interno è stata rinvenuta una grande varietà di materia organica, oltreché elementi non afferenti alla stessa matrice (come carbonati o composti volatili).

In breve, i risultati delle prime analisi hanno evidenziato che il corpo celeste può essere ascritto alla categoria delle condirti, nonostante la ridotta capacità di riflettere la radiazione solare e la sua notevole fragilità: caratteristiche atipiche che rendono i frammenti di Ryugu “il materiale più oscuro e primordiale” mai esaminato, e che quindi potrebbe aiutarci a sapere di più sulle origini e l’evoluzione del nostro sistema solare.

(Crediti immagine: Yada, et al.; Nature Astronomy)