Minuscole, ma insidiose: sono le particelle di polvere che, imbattendosi nei veicoli spaziali in movimento a velocità estreme, possono trasformarsi in una grave minaccia per i loro strumenti.

Lo afferma uno studio che verrà presentato il prossimo 11 novembre al 63° Annual Meeting of the American Physical Society – Division of Plasma Physics, che si è aperto ieri a Pittsburgh (qui l’abstract); l’indagine, curata dal Laboratorio di Fisica Atmosferica e Spaziale dell’Università del Colorado-Boulder e dal Laboratorio di Fisica Applicata dell’Università Johns Hopkins, presenta il caso della sonda solare Parker della Nasa.

Lanciata nel 2018 con lo scopo di fornire un quadro completo dell’attività del Sole, Parker ha compiuto nove orbite intorno alla nostra stella e ha battuto parecchi record: è il veicolo spaziale che maggiormente si è avvicinato al Sole, i suoi strumenti hanno operato a temperature proibitive ed è il manufatto umano più veloce mai realizzato sinora. Tutto questo, però, implica dei rischi: la rapidità con cui la navicella si muove fa sì che anche un piccolissimo granello di polvere diventi un’insidia.

Il gruppo di lavoro ha analizzato i dati elettromagnetici e ottici di Parker e ha tracciato un quadro molto dettagliato degli impatti di polvere a ipervelocità e delle loro conseguenze: danni al veicolo e disturbi nelle operazioni scientifiche. La sonda, infatti, sfrecciando nello spazio vicino al Sole ad una velocità fino a 180 chilometri al secondo, attraversa la regione definita ‘nube zodiacale’; si tratta di una coltre densa, estesa in tutto il Sistema Solare, e composta da minuscoli granelli di polvere rilasciati da asteroidi e comete.

Mentre solca questa zona, Paker subisce i colpi di migliaia di queste particelle (dal diametro che oscilla tra 2 e 20 micron) ad ipervelocità (oltre 100mila chilometri orari). Nel momento in cui si verifica l’impatto, il materiale dei granelli e la superficie della sonda si riscaldano al punto che il primo si vaporizza e poi si ionizza. La ionizzazione è un processo in cui gli atomi nel materiale vaporizzato vengono separati in ioni ed elettroni, producendo uno stato della materia chiamato plasma. Il rapido susseguirsi di questi fenomeni crea un’esplosione di plasma che dura meno di un milionesimo di secondo; il più grande di questi impatti produce anche nuvole di detriti che si espandono lentamente dalla sonda.

Gli scienziati hanno misurato le interferenze prodotte dagli impatti nell’ambiente elettromagnetico intorno a Parker e, oltre a rilevare problemi per la sua sicurezza, hanno evidenziato le interazioni tra le esplosioni di plasma e il vento solare. Questa scoperta, a loro avviso, potrà avere utili ricadute nel filone di studi dedicato allo space weather.

Gli impatti hanno provocato il distacco di scaglie metalliche e schegge di vernice da Parker: gli studiosi hanno notato che questi detriti andavano alla deriva intorno alla sonda, creando delle venature nelle immagini scattate dalle sue fotocamere. Alcune scorie, inoltre, hanno prodotto problemi più seri agli strumenti di navigazione, impedendo temporaneamente alla navicella di determinare come fosse orientata nello spazio.

La sonda, che ha in programma altre 15 orbite intorno al Sole entro il 2025, può così annoverare un altro primato, sebbene sia poco piacevole: quello di essere l’esploratore spaziale più ‘schiaffeggiato’ dalle polveri.

In alto: la sonda solare Parker (Crediti: Nasa) 

In basso: un’immagine che sintetizza le misurazioni effettuate e le conseguenze dei detriti sulle fotocamere di Parker (Crediti: Nasa – D. Malaspina et al.)