Sono passati 26 anni da quando, nel 1995, Didier Queloz e Michel Mayor scoprirono 51 Pegasi b, il primo pianeta osservato in un altro sistema solare a 50 anni luce da noi. Scoperta che valse agli astronomi svizzeri il premio nobel per la fisica del 2019.
Dopo 51 Pegasi b, sono stati individuati quasi 5000 esopianeti in circa 3500 sistemi planetari distinti, alimentando alcune domande fondamentali: esiste un pianeta gemello della Terra, quindi vivibile? Se sì, come facciamo a scoprirlo?
Trovare le risposte non è così semplice. La prima difficoltà sta nella complessità con cui osserviamo un esopianeta.
«La luminosità della stella attorno a cui un esopianeta orbita è almeno un miliardo di volte più potente della luce riflessa dal pianeta stesso, per questo motivo, offuscato e nascosto a noi.» ha affermato ieri Michel Mayor, ospite dell’Università La Sapienza a Roma per la tavola rotonda dal titolo “La Terra non è più sola. E noi? La scoperta degli esopianeti e la ricerca di vita extraterrestre”.
Un esopianeta è dunque osservabile prettamente per via indiretta attraverso due strategie. Il metodo della velocità radiale, utilizzata da Mayor con 51 Pegasi b, ricerca piccole variazioni della velocità con la quale una stella gira attorno al centro del sistema stellare. Tali differenze sono causate dalle perturbazioni gravitazionali indotte dall’esopianeta sulla stella.
Il metodo del transito, invece, al posto della variazione di velocità, registra la differenza di luminosità della luce stellare dovuta al transito dell’esopianeta tra la stella e il telescopio osservatore.
Una recente ricerca dell’Università dell’Illinois Urbana-Champaign (UIUC) ha in qualche modo unito queste due strategie per comprendere indirettamente se attorno a un esopianeta vi siano lune, questo con lo scopo di trovare una risposta alle nostre domande.
Secondo Siegfried Eggl, professore del Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale alla UIUC, la presenza di satelliti naturali sarebbe una cartina tornasole della vivibilità di un pianeta. Eggl è infatti convinto che le lune possano giocare un ruolo chiave nel mantenere i pianeti abitabili per lunghi periodi.
«Senza la luna l’inclinazione dell’asse della Terra non sarebbe così stabile, con conseguenze dannose per la stabilità del clima. –spiega Eggl – Altri studi hanno dimostrato la relazione tra le lune e la possibilità di vita complessa».
Eggl ha identificato così un metodo per trovare i satelliti naturali in altri sistemi planetari.
Come vale per un esopianeta con la sua stella, anche una luna causa perturbazioni gravitazionali sull’esopianeta attorno a cui orbita. Questa influenza causa delle piccole variazioni dell’orbita con cui l’esopianeta gira attorno alla sua stella. Una dinamica misurabile nel momento in cui un esopianeta è osservato indirettamente attraverso il metodo del transito.
«Questa oscillazione fa sì che l’oscuramento della stella avvenga a volte prima e altre volte dopo. –spiega Eggl – Questa è una prova indiretta di una luna perché non c’è nient’altro che potrebbe attirare il pianeta in quel modo.»
La luna di un esopianeta è così identificata attraverso le variazioni di tempo nel transito planetario attorno alla stella.
Il lavoro assume importanza dato che, nonostante recentemente sia stata individuata la prova diretta della formazione di una luna nell’esopianeta PDS 70c tramite il satellite ALMA, in genere le lune completamente formate sono ancora troppo piccole per essere individuate attorno a esopianeti.
Il metodo del transito, con cui si osserva indirettamente un esopianeta, può essere inoltre utilizzato per studiare la sua eventuale atmosfera.
Enzo Pascale, astrofisico dell’Università La Sapienza di Roma, intervenuto ieri alla tavola rotonda con Michel Mayor, ha spiegato come si può analizzare la composizione chimica dell’atmosfera di un esopianeta grazie a uno spettrografo di sensing da remoto.
Attraverso indagini all’infrarosso è possibile osservare le firme spettrali che alcuni elementi imprimono nella luce stellare, causandone variazione di colore quando la luce penetra l’atmosfera dell’esopianeta: «Se c’è del sodio la luce della stella viene un po’ tinta di giallo, se c’è del potassio viene tinta di rosso –spiega Pascale –così è possibile scoprire se nell’amosfera di un esopianeta sono presenti molecole di acqua, metano o carbonio, elementi basilari per la vita».
Crediti immagine in evidenza: NASA and JPL/Caltech