18 è il numero della ribellione. Vero per i neomaggiorenni che iniziano a scatenarsi quanto per le stelle che, al contrario, non esplodono come previsto: i corpi celesti che superano le 18 masse solari, infatti, sembrano andare contro le nostre attese per quanto riguarda il loro destino finale. Mentre i modelli teorici prevedono che stelle tra le 8 e le 25 masse solari, a fine vita, esplodano in supernova, non siamo ancora riusciti a trovare supernove i cui astri precursori siano oltre le 18 masse solari.

Una recente ricerca, guidata dal Netherlands Institute For Space Research (SRON) e pubblicata su Astrophysical Journal Letters, ha trovato alcuni indizi che gettano nuova luce su questa ribellione inattesa.
Il team internazionale ha indagato Arp 299, sistema distante 134 milioni di anni luce dalla Terra composto da due galassie in fusione tra loro con un alto tasso di supernove. Arp 299 è tra l’entità più luminose dell’universo, in grado di emettere grandi quantità di luce infrarossa.

Utilizzando il complesso di 3 telescopi della missione ESA XMM-Newton, il più importante contributo europeo all’astronomia nella banda dei raggi X, lo studio ha indagato la concentrazione dei diversi elementi chimici all’interno di Arp 299. La ricerca ha avuto come bersaglio gli elementi normalmente prodotti ed espulsi dalle stelle massicce che esplodono. Gli astronomi hanno riscontrato però un dato inaspettato: una notevole differenza nelle quantità misurate di ferro, neon e magnesio rispetto ai modelli di previsione su come le stelle massicce arricchiscono il loro ambiente durante il collasso.

«Questa è un’altra indicazione che le stelle molto pesanti non vanno in supernova. – afferma Junjie Mao, autore principale dello studio – Se rimuoviamo dai calcoli del modello il contributo atteso dalle supernove con masse superiori a 23-27 masse solari all’arricchimento chimico, la differenza tra il nostro modello e le nostre osservazioni è improvvisamente molto più piccola.»

Una stella si avvia a morire quando il combustibile delle fusioni nucleari termina, perdendo la capacità di controbilanciare la forza di gravità data dalla sua massa. La stella collassa quindi su se stessa con un esito che dipende dalla sua massa.La teoria convenzionale sostiene che solo stelle con masse comprese tra le 8 e le 25 masse solari muoiano esplodendo in supernove.

Stelle leggere, entro le 8 masse solari, a fine vita espellono lentamente il proprio guscio esterno senza alcuna esplosione. Il gas espulso, prevalentemente idrogeno, va a creare così le nebulose planetarie. Le stelle pesanti, oltre le 25 masse solari, implodono con un collasso gravitazionale tale da creare, al contrario, un buco nero.

La spiegazione che il team dopo l’inaspettata osservazione è che già le stelle oltre le 18 masse solari possano avere la capacità di collassare immediatamente in un buco nero, senza innescare l’esplosione in supernova.

«Abbiamo ora trovato altre prove che la fine della vita delle stelle massicce potrebbe essere molto diversa da quella che abbiamo pensato finora. Potrebbe essere più un tranquillo trapasso che un grande spettacolo pirotecnico cosmico», dice la coautrice Aurora Simionescu, astrofisica dello SRON.

La ricerca assume particolare valore se si guarda la nostra capacità assai limitata di indagare direttamente le supernove, eventi tra i più violenti dell’universo ma altrettanto inaccessibili: le ultime due supernove individuate nella nostra galassia risalgono ormai a più di 400 anni fa, tra cui la supernova d Keplero costringendo gli astronomi a studiare resti di supernove passate o in altre galassie. L’ultima esplosione extragalattica osservata è stata quella di SN 1987A. Osservata nel 1987 nella Grande Nube di Magellano, anche questa ultima supernova rappresenta un caso di ribellione: il precursore da cui ha preso origine SN 1987A si è scoperto, infatti, essere una supergigante blu quando si pensava che solo le supergigante rosse potessero scaturire con la morte splendide esplosioni.

Rimane ora da capire se, come 35 anni fa con SN 1987A, anche la recente osservazione di Arp 299 possa portare a un’ulteriore revisione dei modelli di evoluzione stellare.

 

Crediti immagine in evidenza: NASA, ESA, the Hubble Heritage (STScI/AURA)-ESA/Hubble Collaboration, and A. Evans (University of Virginia, Charlottesville/NRAO/Stony Brook University) –