Dal primo volume del sesto rapporto (AR6) recentemente pubblicato dall’Ipcc, il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, emerge con chiarezza l’intreccio di due filoni nella attuale crisi del clima: sulla Terra, i cambiamenti climatici risultano essere globali e radicali; dallo spazio, invece, le osservazioni satellitari del fenomeno emergono come fondamentali e stanno migliorandosi sempre di più.

In altre parole, se oggi conosciamo quanto le condizioni climatiche terrestri stiano cambiando e possediamo migliori modelli predittivi sul futuro, molto lo dobbiamo alla nostra capacità di osservare il cambiamento climatico dallo spazio.

Frutto del gruppo di lavoro dedicato alle basi fisico-scientifiche del sistema clima, l’ultimo rapporto specifico dello scorso 9 agosto ha confermato la natura antropica all’origine del cambiamento climatico, definendo “inequivocabile che l’influenza umana abbia riscaldato l’atmosfera, l’oceano e la Terra”. Vagliando oltre 14.000 pubblicazioni scientifiche, i cambiamenti sono stati definiti osservabili “in ogni regione e in tutto il sistema climatico”; oltretutto, alcuni fenomeni tra quelli già in atto, come il continuo aumento del livello del mare, risultano irreversibili se non in periodi lunghissimi di migliaia di anni.

Oltre a queste preoccupanti conclusioni sul clima, dal rapporto emerge, però, anche il valore che ricoprono le osservazioni satellitari della Terra. Dal loro punto di vista unico, i satelliti si confermano utilissimi nel fornire linee fondamentali di prove scientifiche per comprendere e tracciare il cambiamento climatico. Essi offrono non solo una visione globale del fenomeno ma anche, negli ultimi cinque decenni, sempre più continua.

I satelliti monitorano prima di tutto i principali motori del cambiamento climatico indotto dall’uomo: i livelli di anidride carbonica e metano nell’atmosfera. Il progetto Climate Change Initiative Greenhouse Gas dell’Esa, ad esempio, sta mappando la distribuzione globale dell’anidride carbonica e del metano vicino alla superficie. Utilizzando i satelliti Copernicus Sentinel-5P dell’Agenzia europea, l’Orbiting Carbon Observatory (OCO-2) della Nasa, e la missione TanSat della China National Space Administration, i dati ad altissima risoluzione ottenuti dal progetto permettono agli esperti di distinguere tra le fonti naturali e umane di anidride carbonica e metano.

Quella dell’ottimizzazione delle osservazioni è un fattore chiave che emerge proprio dall’ultimo rapporto Ipcc, il quale sottolinea come le nuove e migliori registrazioni dei dati osservativi offrono la possibilità di stabilire con maggiore certezza le diverse stime del fenomeno, a livello globale e regionale.

Questo è assolutamente vero se si guarda allo scioglimento dei ghiacciai, fenomeno causato dal surriscaldamento globale, che porta al conseguente innalzamento del livello del mare. Il telerilevamento ha rivoluzionato la nostra conoscenza delle aree ghiacciate del mondo, in particolare vicino ai poli, dove le condizioni rendono difficili le osservazioni di superficie.

Le nuove conoscenze dall’ultimo rapporto dell’Ipcc in merito sono state possibili grazie alla combinazione delle osservazioni satellitari con la modellizzazione dei processi di superficie che guidano la perdita di ghiaccio. Il tasso di perdita dello strato di ghiaccio globale stimato appare così decisamente in accelerazione: la perdita osservata tra il 2010-2019 risulta quattro volte quella tra il 1992-1999.

Nell’ultimo rapporto Ipcc, il progetto IMBIE (Ice Sheet Mass Balance Inter-Comparison Exercise) di Esa e Nasa ha fornito stime satellitari aggiornate su quanto lo scioglimento di strati di ghiaccio abbia contribuito all’aumento del livello del mare: la perdita totale combinata di massa di ghiaccio in Groenlandia e Antartide è stimata dal progetto in 6,4 miliardi di miliardi di tonnellate tra il 1992 e il 2017, con un conseguente innalzamento del livello globale del mare di 17,8 millimetri. Il progetto è riuscito a calcolare l’apporto specifico dei due poli: circa il 60% dell’innalzamento marino (10,6 millimetri) è dovuto alle perdite di ghiaccio della Groenlandia, mentre il 40% a quello dell’Antartide (7,2 millimetri).

Usando i dati satellitari, gli scienziati stimano che lo scioglimento dei ghiacci polari sono responsabili di un terzo di tutto l’aumento del livello del mare.

Anche qui Esa ricopre un ruolo in prima linea: al fine di monitorare da vicino l’aumento del livello del mare, il satellite Copernicus Sentinel-6 Michael Freilich è stato lanciato in orbita nel novembre 2020. Utilizzando l’altimetria radar, il satellite fornirà una nuova panoramica della topografia oceanica e farà progredire il record a lungo termine delle misurazioni dell’altezza della superficie del mare, iniziato nel 1992.

La chiave per valutare questi cambiamenti o per modellare la loro evoluzione futura è anche l’esistenza di inventari dettagliati in cui raccogliere le caratteristiche fisiche chiave dei ghiacciai. La Climate Change Initiative di Esa ha fornito un terzo dei 198.000 profili dei ghiacciai che compongono il Randolph Glacier Inventory, il primo inventario completo al mondo su cui l’Ipcc, già dal quinto rapporto di valutazione, si sta basando.

Anche dall’ultimo rapporto sul clima emerge, quindi, con chiarezza il contributo dell’Agenzia europea: supporta il lavoro dei team scientifici costruendo serie di dati a lungo termine, base per le cosiddette variabili climatiche essenziali, ossia gli “indicatori principali” per il monitoraggio del clima che forniscono l’evidenza empirica per sostenere la scienza del clima, offrendo così un quadro globale nella caratterizzazione del clima della Terra utile a guidare le misure di mitigazione e adattamento.

«L’ultimo rapporto dell’Ipcc dimostra chiaramente il valore dei programmi dell’ESA nel fornire la base di prove per il monitoraggio e la comprensione del cambiamento climatico – ha detto Josef Aschbacher, direttore generale dell’ESA. – Questi fatti concreti sono anche molto apprezzati dai decisori politici in Europa e nel mondo».

 

Immagine in evidenza: Permafrost CCI, Obu et al, 2019 via the CEDA archive