Caldi, rocciosi e in grado di formare e mantenere una propria atmosfera: sono gli esopianeti al centro di uno studio, appena pubblicato su The Astrophysical Journal Letters e mirato ad aggiungere nuovi tasselli alla ricerca di mondi potenzialmente abitabili (articolo: “Water on Hot Rocky Exoplanets”). L’indagine è stata condotta dal Dipartimento di Scienze Geofisiche dell’Università di Chicago e dalla Scuola di Scienze della Terra dell’Università di Stanford e si è basata sia sui dati raccolti dai telescopi (ad es., Kepler della Nasa), sia su modelli informatici.

La presenza di un’atmosfera è cruciale perché si presentino le condizioni per l’eventuale abitabilità di un pianeta: è il fattore che rende possibile la vita sulla Terra, regolandone il clima e proteggendola dai raggi cosmici. Gli esopianeti rocciosi individuati sinora sono molteplici e il loro numero è in crescita; hanno attirato su di sé l’attenzione degli esperti soprattutto per il tema dell’atmosfera, la cui presenza – nella maggior parte dei casi – sarebbe sfumata da lungo tempo.

Gli autori dello studio, tuttavia, sono convinti che la situazione sia differente e, utilizzando i modelli informatici, hanno ipotizzato un processo in base al quale i pianeti rocciosi non solo sarebbero in grado di sviluppare una propria atmosfera ricca di vapore acqueo, ma anche di trattenerla per un lungo periodo. In particolare, sono stati presi in considerazione quei corpi celesti definiti sub-Nettuniani, la cui diffusione è molto ampia.

Questi pianeti, di cui nessun esemplare è presente nel Sistema Solare, si presentano come una sfera di magma, avvolta da un’atmosfera di idrogeno; altri corpi celesti, simili ad essi, si mostrano privi di idrogeno, inducendo gli studiosi a pensare che abbiamo perduto l’atmosfera a causa dell’eccessiva vicinanza con la propria stella.

Il modello, quindi, propone un tipo di pianeta coperto sia da oceani che da roccia fusa e, a questo punto, gli studiosi si sono chiesti quali possano essere le conseguenze di un tale connubio. Il magma liquido è piuttosto acquoso e ci sono buone probabilità che sottragga l’idrogeno dall’atmosfera e reagisca formando acqua; una parte di essa abbandona l’atmosfera, mentre la maggior parte viene inghiottita dal materiale fuso. Poi, dopo che la stella ospite ha portato via l’idrogeno, l’acqua viene risucchiata dall’atmosfera, invece di dare luogo al vapore acqueo; alla fine, il pianeta si ritrova con un’atmosfera dominata dal prezioso liquido, in una fase evolutiva che potrebbe durare per miliardi di anni.

In attesa di poter testare definitivamente questa ipotesi con gli strumenti del telescopio Webb, gli studiosi devono andare a caccia di segnali indiretti delle atmosfere degli esopianeti.

In alto: elaborazione artistica di Wasp-121b, esopianeta con una probabile atmosfera acquosa (Crediti: Engine House VFX, At-Bristol Science Centre, University of Exeter).