È uno dei resti di supernova più celebri, ha cominciato a stupire gli astronomi già dall’XI secolo e continua a guadagnarsi gli onori della cronaca: è la Nebulosa del Granchio, situata nella costellazione del Toro ad una distanza di circa 6500 anni luce dalla Terra. Questo oggetto celeste, che divenne luminosissimo nel 1054 al punto da essere visibile per un periodo anche di giorno, è al centro di un recente studio dedicato alla sua struttura interna. Il saggio è stato pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (articolo: “3D mapping of the Crab Nebula with Sitelle – I. Deconvolution and kinematic reconstruction”).
L’indagine, coordinata dall’Università Laval di Québec (Canada), si è basata sui dati delle osservazioni condotte con il telescopio Cfht (Canada-France-Hawaii Telescope); in particolare, sono state utilizzate le informazioni raccolte da uno degli strumenti del telescopio, lo spettrometro Sitelle (Spectromètre Imageur à Transformée de Fourier pour l’Etude en Long et en Large de raies d’Emission).
La nebulosa, che ha alle spalle una lunga tradizione di studi, presenta ancora numerosi aspetti poco chiari: ad esempio, permangono interrogativi sul tipo di stella che l’ha originata e su come abbia avuto luogo l’esplosione. Gli astronomi dell’Università Laval hanno cercato di approfondire tali questioni, utilizzando anche simulazioni in 3D e mettendo a confronto il Granchio con altri resti di supernova, come 3C 58 e Cassiopea A.
Il gruppo di lavoro ha riscontrato che tutti e tre gli oggetti celesti presentano il materiale espulso organizzato in anelli, su vasta scala; secondo gli studiosi, queste strutture sarebbero dovute ad un rimescolamento avvenuto in maniera burrascosa e a ‘pennacchi’ radioattivi, che si sarebbero diffusi da un nucleo ferroso collassato. La presenza di una configurazione a nido d’ape nel cuore del Granchio sembra mettere in discussione gli scenari proposti per l’origine della nebulosa, come quello che ipotizza il collasso di un nucleo a base di ossigeno, magnesio e neon.
Il Granchio, osservato per la prima volta dagli astronomi cinesi, in età moderna fu identificato dallo studioso inglese John Bevis e poi – nel 1758 – classificato dal francese Charles Messier nel suo celebre Catalogue des Nébuleuses et des Amas d’Étoiles; la nebulosa è il primo oggetto del catalogo (M1).
In alto: il modello in 3D della Nebulosa del Granchio utilizzato per lo studio (Crediti: T. Martin et al., Université Laval)