Un ampio gruppo di buchi neri piccoli e nascosti, invece di uno solo, grande e situato in posizione centrale: è questo il quadro inaspettato che si è presentato agli studiosi mentre analizzavano l’ammasso globulare Ngc 6397.

Per arrivare a questa conclusione, illustrata in uno studio appena pubblicato su Astronomy & Astrophysics, gli scienziati si sono serviti dei dati raccolti da Hubble in anni di osservazioni e relativi alla velocità delle stelle nel cluster. Il saggio, dal titolo “Does NGC 6397 contain an intermediate-mass black hole or a more diffuse inner subcluster?”, è stato curato da un team dello Iap-Istituto di Astrofisica di Parigi e si è basato anche sui dati del satellite Gaia dell’Esa, sempre relativamente ai movimenti degli astri.

I cluster globulari, come quello preso in esame, sono in genere molto antichi; si pensa che Ngc 6397 sia addirittura risalente agli albori dell’Universo. Questo ammasso, che si trova nella costellazione dell’Altare a 7800 anni luce di distanza, è uno dei più vicini alla Terra e, dato che il suo ‘cuore’ è molto denso, è stato definito ‘cluster dal nucleo collassato’ (core-collapsed cluster).

Ad una prima analisi, gli studiosi avevano pensato che Ngc 6397 potesse ospitare un buco nero di massa intermedia; si tratta di un oggetto celeste la cui esistenza è tuttora molto dibattuta e di cui sono stati identificati solo cinque candidati. Proseguendo l’esame, è stata riscontrata forte evidenza di una massa invisibile nel denso nucleo del cluster; questa massa, però, non si presentava concentrata in un punto – come ci si sarebbe potuto attendere da un tipico buco nero solitario – ma si mostrava in forma estesa fino ad un 5% delle dimensioni di Ngc 6397.

A questo punto, per indagare questa entità elusiva, sono entrati in gioco i dati di Hubble che, con il supporto di quelli di Gaia, sono stati utilizzati per determinare la velocità degli astri ospitati dal cluster; da questo parametro è stato possibile desumere la distribuzione della massa totale. Gli studiosi, tenendo presente le attuali teorie sull’evoluzione stellare, hanno concluso che questa massa ‘extra’ doveva presentarsi sotto forma di piccoli buchi neri.

Secondo il gruppo di lavoro, da tale scoperta emerge l’eventualità che si possano verificare delle fusioni tra questi piccoli buchi neri, un evento da cui potrebbe scaturire una sorgente di onde gravitazionali.