Rapidamente mutevoli e spesso imprevedibili, le nubi sono una delle principali incognite dei modelli climatici. E quando questi modelli vengono applicati alle previsioni meteo, sono proprio le nuvole a determinare la maggior incertezza.
Gli agglomerati di particelle di vapore acqueo e cristalli di ghiaccio che formano le nubi giocano anche un ruolo cruciale nella quantità di radiazione proveniente dal Sole intrappolata nell’atmosfera terrestre. Più nuvole ci sono, più radiazione rimbalza sulle loro cime e viene riflessa nello spazio. Il che significa che, con l’aumentare delle nubi, aumenta anche la quantità di radiazione che resta intrappolata nell’atmosfera terrestre.
Qual è l’impatto sul clima della radiazione prodotta dalla presenza di nubi? Rispondere a questa domanda è uno degli obiettivi del progetto europeo EUREC4A. Coordinato dal Laboratorio di Meteorologia Climatica francese, il progetto coinvolge un team internazionale di ricerca che negli ultimi quattro anni ha lavorato per comprendere il legame tra la formazione di nubi e il cambiamento climatico. I risultati, ora nella fase finale di elaborazione, mostrano che il riscaldamento globale è in gran parte influenzato dalla presenza di nubi, e in particolare da come le nubi si aggregano tra loro.
«Si tratta di un problema di scala – spiega Sandrine Bony, co-leader di EUREC4A e dirigente di ricerca al Cnrs francese. – Dalle interazioni microscopiche tra atomi alle correnti atmosferiche che agiscono per migliaia di chilometri, molte forze influenzano il modo in cui si formano le nubi, la loro composizione e il loro comportamento. Un piccolo cambiamento nelle loro proprietà ha un enorme impatto sull’equilibrio radiativo globale, ovvero l’equilibrio tra la quantità di energia solare che resta intrappolata nell’atmosfera terrestre e la quantità che invece riesce a sfuggire».
Un buon esempio è costituito dalle nubi cumuliformi, che ricoprono l’Atlantico e che ricordano vagamente batuffoli di cotone. «Queste nubi di bel tempo sono molto comuni – afferma Bony – e per questo un piccolo cambiamento può comportare un peso statistico enorme nel clima globale».
Per giungere a questa conclusione, il progetto EUREC4A ha utilizzato i dati raccolti nel tempo da una decina di satelliti, 5 aerei da ricerca con equipaggio, 6 aerei pilotati a distanza, 4 navi oceaniche e una flotta di alianti. L’alleato speciale è stato il Barbados Cloud Observatory, che ha messo a disposizione del team di ricerca sofisticati strumenti di telerilevamento per studiare la distribuzione delle nubi su larga scala.
«Abbiamo scoperto che non è soltanto la quantità di nubi a influenzare il clima – spiega Bony – ma anche il modo in cui le nubi sono distribuite e organizzate. Gli ‘schemi’ formati dalle nubi, infatti, possono influenzare il modo in cui bloccano o assorbono le radiazioni, un dato che può avere forti implicazioni nel cambiamento climatico».
Nel caso delle nubi cumuliformi, ad esempio, la quantità di radiazione assorbita può essere molto elevata. Ecco perché questa tipologia di nubi è la principale indiziata a contribuire al complesso quadro complessivo del riscaldamento globale. Non solo: i dati raccolti da EUREC4A e da altri progetti attualmente in corso mostrano l’importanza della cosiddetta ‘auto-organizzazione’ delle nubi, che sembra avvenire in alcune circostanze in modo del tutto indipendente dalla quantità di radiazione assorbita.
Servirà ancora molto lavoro per trasformare questi risultati in nuovi modelli climatici, ma sembra ormai chiaro che, quando si parla di clima, le nuvole sono un ingrediente che non si può ignorare.