Quando parliamo della ricerca di vita nell’universo, il metro di riferimento è quasi sempre il nostro pianeta. Tant’è che negli ultimi anni abbiamo sentito spesso l’espressione ‘Terra gemella’, applicata all’esomondo di turno che potesse avere caratteristiche simili al nostro e quindi essere adatto a ospitare la vita.
Ora un nuovo studio condotto dall’Università di Washington ribalta questa prospettiva. Affermando che gli astronomi non dovrebbero andare a caccia di una Terra 2.0, quanto piuttosto concentrarsi sulla ricerca di un pianeta addirittura più adatto alla vita del nostro. Secondo la ricerca, pubblicata sulla rivista Astrobiology, esisterebbero almeno due dozzine di esopianeti con queste caratteristiche. Gli autori dell’articolo hanno definito questi mondi potenzialmente ‘superabitabili’. Le principali condizioni per rientrare nella fortunata categoria sono quattro: essere un pianeta più vecchio, più grande, leggermente più caldo e possibilmente più umido della Terra. Una quinta caratteristica favorevole è orbitare attorno a una stella con un ciclo di vita più lungo rispetto al nostro Sole. Queste proprietà non devono necessariamente sussistere insieme, ma se un esopianeta le possiede tutte ha maggiore probabilità di ospitare effettivamente la vita.
In questo caso, la probabilità di cui parlano gli scienziati non riguarda tanto il ‘momento zero’, ovvero l’attimo in cui su un pianeta cominciano a svilupparsi le prime forme di vita. La ricerca si riferisce piuttosto a una probabilità spaziale e temporale: mondi che potrebbero ospitare la vita in un numero maggiore di territori, e più a lungo rispetto alla Terra. Sul nostro pianeta infatti esistono diverse zone inospitali per la sopravvivenza di forme viventi complesse. Inoltre nella nostra dimora planetaria la vita è nata per la prima volta soltanto 4 miliardi di anni dopo la nascita terrestre, e gli scienziati hanno calcolato che la sua durata complessiva non possa superare i 10 miliardi di anni.
Da qui il concetto di ‘superabitabilità’. Secondo il nuovo studio, un esopianeta grande almeno il 10% più della Terra dovrebbe ospitare più territori abitabili. Mentre una massa corrispondente a una volta e mezzo la massa terrestre potrebbe mantenere più a lungo il calore, e al tempo stesso avere una gravità tale da riuscire a trattenere l’atmosfera per un periodo più lungo. Anche una quantità maggiore di acqua può aiutare, soprattutto sotto forma di umidità. Infine, l’età: un pianeta che ‘vive’ più a lungo può avere maggiore probabilità di ospitare la vita più a lungo. Questa caratteristica dipende strettamente dal ciclo di vita della stella madre: per questo un pianeta che orbiti attorno a una stella più longeva del nostro Sole viene considerato più probabilmente abitabile.
Gli scienziati si sono basati sull’analisi degli esopianeti già scoperti, ad oggi circa 4.500. Tra questi, i mondi decretati ‘superabitabili’ sono 24 – un numero piuttosto elevato, considerato che si tratta di pianeti dove la vita potrebbe svilupparsi con maggior facilità rispetto alla Terra. L’unico problema è che questi potenziali habitat sparsi nel cosmo sono per noi assolutamente irraggiungibili: si trovano tutti a oltre 100 anni luce di distanza.
Tuttavia, secondo gli autori dello studio, questo risultato potrebbe aiutare a circoscrivere meglio le future ricerche di esopianeti, in particolare da parte del James Web Space Telescope della Nasa e del telescopio spaziale Plato dell’Esa.
«Con i telescopi spaziali di prossima generazione – spiega infatti Dirk Schulze-Makuch, prima firma dell’articolo – riceveremo una quantità maggiore di informazioni, quindi è importante selezionare gli obiettivi. Dobbiamo concentrarci sui pianeti che presentano le condizioni più promettenti per ospitare forme di vita complessa».
Secondo Schulze-Makuch e colleghi, per scovare questi mondi è fondamentale cambiare il punto di partenza, ovvero lo sguardo (astronomico) che abbiamo sulla nostra dimora planetaria. «A volte è difficile – conclude il ricercatore – veicolare il principio della superabitabilità, perché pensiamo di avere il miglior pianeta possibile. Sulla Terra esistono forme di vita diverse e complesse, e molte di queste possono sopravvivere in ambienti estremi. Ospitare forme di vita adattabili è senz’altro un’ottima cosa, ma questo non significa che abbiamo il meglio in assoluto».