Le immagini realizzate dai radar ad apertura sintetica (Sar) sono ampiamente utilizzate nel campo dell’archeologia sin dagli anni ottanta. Oggi, tra i satelliti dotati di questa tecnologia, Cosmo-SkyMed, sviluppato dall’Agenzia Spaziale Italiana in collaborazione con il Ministero della Difesa, e i satelliti Sentinel, del programma europeo di monitoraggio ambientale Copenicus, vantano una serie di caratteristiche che possono essere sfruttate per gli studi archeologici e la conservazione dei beni culturali.
Lo scorso 23 luglio la rivista Nature ha pubblicato ‘Poorly known 2018 floods in Bosra UNESCO site and Sergiopolis in Syria unveiled from space using Sentinel-1/2 and COSMO-SkyMed’ un articolo scritto da due ricercatori Asi, Deodato Tapete e Francesca Cigna che illustra le potenzialità delle due missioni nel monitoraggio dei beni culturali.
Nel dettaglio, i quattro satelliti della costellazione Cosmo-SkyMed sono in grado di scrutare la Terra dallo spazio metro per metro, di giorno e di notte, con ogni condizione meteo. I satelliti lavorano in banda X e sono quindi in grado di vedere attraverso le nuvole, in assenza di luce solare. Il sistema può effettuare fino a 450 riprese al giorno della superficie terrestre, pari a 1.800 immagini radar, ogni 24 ore.
Copernicus, invece, si basa su una serie di sei tipologie di satelliti, chiamati Sentinelle, specializzati in precise applicazioni. Nello specifico, le osservazioni utilizzate nello studio riguardano quelle condotte dai Sentinel-1, utilizzati per produrre dati radar interferometrici, e dai Sentinel-2, satelliti ottici progettati per l’osservazione multi-spettrale.
Nell’articolo viene descritto il lavoro dei satelliti su alcuni siti archeologici e culturali situati in Bosra e Siria. A tal proposito, abbiamo chiesto al ricercatore Asi Deodato Tapete di rispondere ad alcune domande, per spiegare meglio l’uso delle osservazioni satellitari nel monitoraggio dei beni culturali.
Quali sono le potenzialità dei satelliti Cosmo-SkyMed e Sentinel nel monitoraggio dei beni culturali?
I satelliti Cosmo-SkyMed dell’Asi e le missioni Sentinel di Copernicus permettono un’osservazione costante dei monumenti, degli edifici storici, delle aree archeologiche e del paesaggio culturale. Questa capacità si rivela fondamentale sia per monitorare lo stato di conservazione del patrimonio già noto, sia per identificare resti archeologici ancora non scavati, e quindi supportare attività di prospezione archeologica e potenzialmente scoprire nuovi siti.
Cosmo-SkyMed e le missioni Sentinel forniscono informazioni complementari nello spettro elettromagnetico, e in particolare nelle microonde, nel visibile e vicino infrarosso. Inoltre, mentre i satelliti Sentinel forniscono acquisizioni a scala globale e a cadenza regolare, Cosmo-SkyMed consente di acquisire immagini ad alta risoluzione spaziale fino a 1 metro e di rivisitare specifiche aree anche a di distanza di 1 giorno.
In che modo le due missioni vengono utilizzate per il monitoraggio dei beni culturali? Ci puoi fare qualche esempio?
Negli ultimi due anni abbiamo utilizzato i satelliti Sentinel-2 e COSMO-SkyMed per documentare l’impatto degli scavi non autorizzati e dei danni dal recente conflitto siriano sul contesto archeologico di alcuni siti culturali, uno su tutti Apamea. Abbiamo anche osservato il diffondersi dell’urbanizzazione incontrollata nel paesaggio culturale circostante il sito Unesco di Cirene in Libia.
Con le immagini satellitari possiamo anche documentare l’accadimento di eventi di rischio naturale e mapparne le conseguenze sulla conservazione. Questo è infatti l’oggetto dell’ultima nostra ricerca pubblicata sulla rivista Scientific Reports della Springer Nature. Grazie a uno screening sistematico degli archivi di immagini multispettrali Sentinel-2 abbiamo caratterizzato due eventi alluvionali che hanno interessato il sito Unesco di Bosra e il sito di Sergiopolis nel deserto siriano, di cui si sapeva poco o niente.
Quali sono stati i risultati del vostro studio?
Nel caso di Bosra, abbiamo potuto da una parte confermare l’allagamento del teatro romano a seguito di un evento di pioggia molto intenso ad aprile 2018, avvalorando così le informazioni contenute nei report apparsi su internet. Dall’altra abbiamo potuto valutare lo stato di allagamento anche delle altre aree del sito Unesco e stimare i tempi di ripresa dopo l’alluvione.
Nel caso di Sergiopolis, addirittura, non c’era documentazione sull’alluvione di ottobre 2018 prima del nostro studio. Oltre a provare che il paesaggio intorno al sito è stato allagato, abbiamo analizzato l’estensione e la forma dell’area allagata rispetto alle modellazioni idrauliche pubblicate in letteratura, sulla base delle quali alcuni studiosi ipotizzano l’esistenza di un sistema di canalizzazione e controllo delle acque superficiali che in passato permetteva l’approvvigionamento idrico di Sergiopolis.
Come vi aspettate che l’osservazione satellitare e la tutela dei beni culturali possano collaborare in futuro?
In realtà già collaborano. In Italia, fortunatamente, c’è già una storia di progetti in cui i dati satellitari sono stati e vengono utilizzati per gli scopi della conservazione dei beni culturali. Attualmente queste tecnologie sono impiegate in un interessante progetto del parco archeologico del Colosseo, che coinvolge anche l’Unità Osservazione della Terra di Asi e di cui è stato recentemente pubblicato un volume che ne presenta i risultati.