L’INTERVISTA/“Albe” è un documentario su un gruppo di persone che si ritiene in contatto con gli extraterrestri: la regista spiega è tutto vero: “Ho scoperto di aver fatto un film politico”
Redazione14 giugno 2018
di Stefano Miliani
Esseri alieni comunicano con alcuni terrestri. Solo con chi è aperto di cuore, non con chi è tecnologicamente attrezzato. Ne è fermamente convinto un gruppo di sette persone di Roma e dintorni che la regista e scrittrice Elisa Fuksas inquadra racconta nel film-documentario “Albe. A Life Beyond Earth”. Tra riflessioni con una scienziata e un astronauta sulla presenza di vita nell’universo, tra sedute di connessione con extraterrestri che sembrano sedute spiritiche, racconti dei protagonisti di esperienze inspiegabili nella campagna di Sabaudia, confessioni molto intime, in un’ora e venti l’autrice ritrae con partecipazione e comprensione, senza giudicare a priori, un gruppo legato da convincimenti che altri non possono comprendere. La dj alla radio, la nutrizionista, l’impiegata: per quanto dicono, sembrano personaggi improbabili, inventati, invece la realtà supera la fantasia. Così “Albe” diventa un’esplorazione in profondo della psiche e sociale tanto da rendere a momenti labile il confine tra finzione e fatti avvenuti. Ha immagini quasi iperrealiste. Ha una tavolozza di colori morbidi. Con musica di Riccardo Amorese e montaggio di Marco Signoretti, scritto con Tommaso Fagioli, “Albe” racconta solo la verità, rimarca Elisa Fuksas, al secondo lungometraggio dopo cortometraggi, spot e due romanzi: “La figlia di” (Rizzoli, 2014) e “Anna, Michele e la termodinamica (Elliot, 2017).
“Albe. A Life Beyond Earth” (Documentary Film. Ring Flm, K48, Foundry Films, Matrioska, Tangram, Rai Cinema) è distribuito e venduto all’estero da Fandango.
Il 5 luglio alle 20.30 lo presenterà nell’Auditorium dell’Asi. Secondo appuntamento delle anteprime dell’Agenzia Spaziale Italiana nell’ambito dell’iniziativa #SpazioCinema che vede la collaborazione de Il Giornale dello Spettacolo del gruppo Globalist.
Come è nata l’idea del film? Pare decisamente inconsueta.
Da tanto pensavo alla fantascienza. All’inizio pensavo alla finzione, poi mi sono scontrata con la difficoltà di far interagire una star del cinema, tipo “L’avventura” di Michelangelo Antonioni, e un alieno: l’alieno al cinema era un uomo, diventava una storia d’amore per cui non potevo rappresentarla senza effetti, l’idea era fare un film di fantascienza mediterraneo, però non funzionava. Ho tentato di girare un documentario di scienza, poiché con chi ho scritto il film ci siamo documentati molto, ma c’era già tutto in giro. Stavo per abbandonare il progetto un’altra volta quando un amico mi ha segnalato Carlo, il biondo gay: è convinto di essere un extraterrestre. L’ho cercato, incontrarlo stato molto difficile, non ha cellulare, e tramite lui ho visto un’altra possibilità: il punto non era credere agli alieni, era credere a queste persone.
È davvero tutto vero? Si parla di messaggi alieni. Stefania, la parrucchiera, “sente vocine” in testa.
Sì, lo è. È stato come andare sul surf: le sette persone sono così, i luoghi rappresentati sono i loro. È vera la seduta di ipnosi dello psicoterapeuta sulla signora che sente voci. Questi alieni sono risposte alle domande di senso che ci poniamo tutti. Credo sia un film “adolescenziale”: pone le domande anche esistenziali che ci siamo fatti tutti tra i 12 e 18 anni. Poi c’è chi le supera e chi rimane in quel vortice.
Dalla studentessa di 19 anni, Giulia, che aspira a diventare attrice e ha come modello Marylin Monroe al geometra Antonio che ha lavorato ai cantieri Tav Roma-Napoli ed è rimasto disoccupato, le sette persone danno la sensazione di una gran solitudine.
È così. C’è una normalità di facciata, ma è una solitudine cosmica in quanto sono persone che fanno i conti con le grandi questioni a cui rispondono con gli extraterrestri. C’è una solitudine della Terra come senso rispetto all’universo: quel pallino blu nell’universo è come una perla magica però come pianeta siamo soli, per quanto vediamo, ed è struggente.
La scelta dei luoghi: stabilimenti marini un po’ sbrecciati, la periferia romana… Periferia che il cinema italiano oggi inquadra sempre più spesso da vicino: è emblematica?
L’ho trasfigurata. A Ostia ho ripreso uno stabilimento degli anni Trenta, come uno dei posti abbandonati a fine estate che fotografava Luigi Ghirri. Sono persone che magari hanno una villetta, è un po’ di più della periferia , riprendo spazi congeniali ala quella solitudine esistenziale, sono spazi astratti. Non c’è l’odio, per esempio. Il Corviale appare un luogo sognante, quasi irriconoscibile in un tramonto di cipria, con la ragazza, Giulia, che aspetta chissà cosa.
Come l’ha scelta?
A una conferenza di ufologia l’ho vista camminare vestita da sera in quello spazio di cemento al tramonto. Era un’apparizione metafisica e come tale è entrata nel film. È importante sapere che non ho mai chiesto a nessuno di loro di fare cose che non avrebbero detto o fatto o di vestirsi in un modo che non è loro.
Si sono fatti riprendere e raccontare così come sono dunque?
Hanno accettato di farsi riprendere. Ci ho lavorato per due anni quindi i sette personaggi sono anche scrittori del film. Alcune cose non potevo immaginarle. Come la seduta spiritica in comunicazione con l’alieno. È vera.
Come ha potuto girarla?
Non potevo né volevo interferire, per cui ho inventato dei metodi. Nel caso della seduta ho messo una cinepresa al centro del tavolo e insieme al direttore della fotografia, Emanuele Zarlenga, l’abbiamo comandata a distanza da un’altra stanza con il joystick. È una realtà che si presenta come vuole: ho scritto le scene però non controllavo, non sapevo cosa usciva. È stato poi un gran lavoro di montaggio.
“Albe” affronta un tema sempre più discusso, con le ricerche spaziali, anche intervistando l’astronauta canadese Chris Hadfield e la scienziata Amelia Ercoli Finzi: c’è vita nello spazio? Possibile che non ci sia altro di vivo in un universo con centinaia di miliardi di stelle e non sappiamo quanti pianeti? Cosa ne pensa?
Mi sento allineata ad Amelia Ercoli Finzi, l’ingegnere aerospaziale che intervisto. Alla fine l’universo è talmente grande e noi siamo così piccoli che è impossibile essere soli. Questo pensiero mi dà tranquillità e un senso di responsabilità, da un certo punto di vista. Ammesso che da un pianeta a chissà quanti anni luce qualcuno possa vederci, un nostro gesto diventa eterno, questa piccolezza diventa una grandezza, questi concetti diventano valori assoluti, il grande e piccolo. Secondo me nel cosmo c’è vita, ma le distanze impediscono di comunicarci e non siamo in grado di saperlo con la tecnologia attuale. È un pensiero, perché la solitudine del nostro pianeta nell’universo, se è tale è, è mostruosa.
In un’ottica cinematografica “Albe” fa pensare ad Antonioni, che ha citato poc’anzi. Il suo cinema l’ha influenzata?
Lo amo. Come dicevo, la prima idea di un film di fantascienza uomo-donna nasceva da una mia immaginazione notturna sull’”Avventura”. Sono felice che si veda. Antonioni affronta temi come la solitudine, la relazione tra uomo e umanità. Però in “Albe” ci sono anche la commedia all’italiana come Dino Risi. D’altronde questi personaggi sono struggenti, simpatici, auto ironici.
Come possono credere di essere solo loro in contatto con gli alieni? Per di più in un territorio come quello intorno a Roma, che non è proprio un deserto.
Il concetto è che devi avere un cuore aperto per vedere le creature dello spazio: non si manifestano in un modo plateale, è un rapporto intimo tra te e il cosmo. Se sei una persona buona con il cuore aperto agli altri, allora gli alieni riescono a intercettarti: li vedi con il cuore, non con il telescopio o con le sonde. Così diventi depositario di un segreto che altrimenti andrebbe perso e quindi non sei solo. Questi alieni hanno gli attributi di Dio, è una strategia della salvezza, è il presente, è l’essere al meglio in questa scena, mentre vivi. Torniamo alla scena dell’ipnosi: Jung ha studiato molto questi fenomeni. Il punto non è se è vero o falso ma, come diceva lui, sono fenomeni veri per le persone che ci credono.
Lei non li giudica.
Per fortuna il giudizio non è tra i miei difetti. Però è anche un film molto politico.
Politico in che modo?
Tutte queste persone sono per i Cinque Stelle. Non li ho cercati, ma non credo sia un caso. La politica è anche una risposta al sentimento del tempo. Prima postavano su Facebook un avvistamento su Guidonia, ora la foto di “Virginia sei il mio sindaco”. È il trionfo di chi non è stato riconosciuto da un certo mondo. Ho capito solo a posteriori di aver fatto un film politico. Non esprimo alcun giudizio ma osservo: trovo inconcepibile lasciare morire la gente in mare, è importante dirlo, non tutto è accettabile. E queste persone sono tutte per la fratellanza cosmica, per l’accoglienza dell’alieno, però se uno viene dall’Africa o da una guerra lo lasci morire in mare? È interessante questa contraddizione: quando hai meno protezione chi viene da fuori ti appare nemico.
Vi aspettiamo in Asi il prossimo 5 luglio. La proiezione avrà inizio alle ore 20,30, l’accesso sarà consentito dalle 19.00 al fine di garantire un flusso ordinato. Non mancate però di registrarvi perché l’accesso è consentito solo previo accredito tramite questo form on line per ragioni di sicurezza. È pur sempre l’Agenzia Spaziale Italiana. Ma non mancate, ne sarà valsa la pena.
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