Il battito di un buco nero supermassiccio scoperto nel 2007 torna a farsi sentire con grande intensità. Situato nella galassia  Re J1034 + 396 e distante  600 milioni di anni luce dalla Terra il battito del buco nero è stato rilevato per la prima volta nel 2007, prima che la posizione del Sole bloccasse le osservazioni delle sonde a partire dal 2011. Lo studio è stato condotto dagli osservatori dall’Accademia delle Scienze cinese e dall’Università di Durham ed è stato pubblicato sulla rivista Monthly Notice of the Royal Astronomical Society.

Secondo gli astronomi il battito, che si ripete regolarmente ogni ora, è il più longevo mai visto in un buco nero e  fornisce informazioni sulle dimensioni e sulla struttura vicino all’orizzonte degli eventi, lo spazio attorno a un buco nero da cui nulla, compresa la luce, può sfuggire. Nel 2018 il satellite a raggi X Xmm-Newton dell’Esa  è stato finalmente in grado di osservare di nuovo il buco nero e gli scienziati hanno realizzato che esso seguiva ancora lo stesso ritmo regolare.

La materia che cade in un buco nero supermassiccio rilascia un’enorme quantità di energia da una regione relativamente piccola dello spazio, anche se il fenomeno non segue di solito uno schema ripetibile come quello mostrato dal buco nero oggetto dello studio. Nel dettaglio, il tempo che intercorre tra i battiti, può dire molto sulle dimensioni e sulla struttura della materia che si trova nei pressi dell’orizzonte degli eventi.

«Ritengo che il battito possa essere prodotto dalla contrazione e dall’espansione delle pareti interne del disco di accrescimento – spiega Chris Done, autore dello studio – l’unico altro sistema noto, che sembra seguire lo stesso processo, è un buco nero di massa stellare 100.000 volte più piccolo nella nostra Via Lattea alimentato da una stella compagna binaria, con luminosità e tempistiche di conseguenza inferiori. La persistenza  del battito dimostra che i segnali derivanti da un buco nero possono essere molto forti  e ora possiamo studiarne meglio la natura».

Prossimamente gli scienziati proseguiranno con la seconda parte della ricerca: l’analisi completa del segnale per poterlo confrontare con il comportamento di altri buchi neri dalle proprietà simili.