In principio furono gli antichi babilonesi: descrissero con la loro scrittura cuneiforme quel prodigioso fenomeno di oscuramento su delle tavolette di argilla e poi, diversi anni dopo ma comunque molto prima che greci e latini lo associassero a un termine che rimanda a una “mancanza”, a una “scomparsa” (“eclipsis” ed “ekleipsis”) impararono anche come predirlo. Non da meno furono i cinesi: nel libro dell’I-Ching descrivono chiaramente delle macchie solari, parlando di “fuochi che divorano un pezzo di Sole” e di “uccello nero” visibile sul disco luminoso, disegnando piccole coppie di ali scure all’interno di un grande cerchio chiaro con pennelli e inchiostro di china.
Da millenni l’uomo è attratto dall’esplorazione del Sole. Certo, in molti casi l’attrazione si è trasformata in pura adorazione, come per gli egiziani col dio Ra o per i romani col Sol Invictus. Ma il culto religioso è una piccola parentesi, se confrontato con l’atteggiamento mantenuto nel corso della Storia. Non solo il Sole è sempre stato messo al centro dei calendari astronomici fin dal Neolitico (un nome per tutti: Stonehenge). Non solo, in ogni ragionamento riguardante la scansione del tempo, in oriente come in occidente, si è costantemente attribuita la massima importanza ai solstizi e agli equinozi. Ma, nel corso dei millenni, l’interesse per il Sole è sempre stato finalizzato alla conoscenza, dell’oggetto in sé e del suo influsso su di noi.
Secolo dopo secolo l’uomo si è lanciato alla scoperta della stella più vicina alla Terra con i mezzi che aveva a disposizione: frammenti di vetro colorato, piccoli fori che proiettano un sottile fascio di luce in artigianali camere oscure (se ne servì anche Leonardo da Vinci), e poi telescopi, coronografi (strumenti che in sostanza creano delle eclissi artificiali senza dover aspettare anni per riuscire ad osservare la cosiddetta corona solare) e ultimamente sonde spaziali. L’obiettivo era conoscere, non rendere grazie a quella che pure è una delle principali fonti di vita per la Terra (insieme al magnetismo che produce quella magnetosfera che devia o depotenzia i raggi cosmici, lo strato di ozono che filtra i raggi ultravioletti e altri alleati non immediatamente percepibili come il Sole).
Dal telescopio alla sonda spaziale
Nuovi strumenti hanno permesso nel corso dei secoli nuove scoperte, come il vento solare, l’eliosfera, il campo magnetico solare e quel curioso fenomeno per cui ogni 11 anni i poli della stella si invertono. Ma sono ancora molti i misteri che circondano il Sole. I motivi? Tanti. Ma almeno due sono più che evidenti. Il primo: ci accompagnerà pure ogni giorno dalla mattina alla sera, ma il Sole è decisamente lontano da noi. Per la precisione, è a 149 milioni e 600 mila chilometri dalla Terra, distanza tra l’altro da alcuni anni assurta al rango di “unità astronomica” (simbolo Ua). Il secondo: ci farà pure tanto bene alla salute e anche all’umore ma avvicinarsi non è comunque consigliabile, considerato che la superficie solare tocca i 5 mila e 500 gradi centigradi e che ben più caldo fa nella zona circostante (la “corona” solare arriva a un milione di gradi). Ma può l’uomo del ventunesimo secolo fermarsi di fronte a due bazzecole del genere? È o no il pronipote di quel Galileo che giocando con un tubo di legno e due fondi di bottiglia ha osservato più di 400 anni fa le macchie solari, nonché confermato la teoria eliocentrica copernicana, forse meno gratificante della geocentrica tolemaica ma indubbiamente più aderente alla realtà?
E allora ecco che a febbraio abbiamo lanciato nello Spazio Solar Orbiter. Ci metterà un po’ ad arrivare a destinazione, due anni circa. Ma poi sarà a “soli” 42 milioni di chilometri dal Sole, pronto a compiere le sue osservazioni e analisi senza timore di fondersi: a proteggerlo dal calore c’è infatti uno scudo termico (2,5 metri per 3, pesante circa 150 chili) dotato di spioncini da cui gli strumenti di bordo possono fare tutte le necessarie rilevazioni. Di più: questa sonda spaziale nata dalla collaborazione tra l’Agenzia spaziale europea (Esa) e la statunitense Nasa non solo si avvicinerà alla stella fino ad arrivare ad “appena” 0,28 Ua (Mercurio, il pianeta più interno al sistema solare, è a 0,39 Ua) ma grazie a successive modifiche di traiettoria sia “artificiali” (l’attivazione dei motori) che “naturali” (gli assist gravitazionali che riceverà quando “sorvolerà” a più riprese la Terra e Venere) uscirà dal piano gravitazionale dei pianeti e andrà a collocarsi su un’orbita spostata di 34 gradi rispetto all’equatore solare. Cosa vuol dire in concreto? Che la sonda, da quel punto di osservazione privilegiato e grazie a strumentazioni messe a punto anche dall’Italia (a cominciare dal coronografo Metis, realizzato dall’Asi in collaborazione con Inaf, Cnr e diverse università), potrà studiare i poli del Sole. Un inedito assoluto. Un’impresa che, se avrà successo, avrà del fenomenale. Ma che, nel suo genere, non costituirà di certo un fenomeno isolato.
Trent’anni di missioni verso la nostra stella
Da trent’anni precisi, infatti, lo Spazio è popolato di missioni per lo studio del Sole: dal pioniere Ulysses lanciato nel 1990 da Esa e Nasa che rese possibile la realizzazione della prima mappa di quella gigantesca bolla che chiamiamo eliosfera alle giapponesi Yohkoh (1991) e Hinode (2006), dall’europea-cinese Double Star (tra il 2003 e il 2008 ha esaminato gli effetti del Sole sull’ambiente terrestre) alle statunitensi Sdo (2010) e Parker Solar Probe (2018) che addirittura dovrebbe attraversare la cosiddetta corona e spingersi fino a meno di 6 milioni di chilometri dalla superficie solare.
Cosa abbiamo scoperto finora? Intanto, abbiamo potuto compilare con estrema precisione la carta d’identità di questa stella: ha un diametro di 1 milione 392 mila 684 chilometri (circa 109 volte quello terrestre), un volume di 14 per 10 alla ventisettesima metri cubi (questo per dirla con gli scienziati, per dirla più terra terra il nostro pianeta ci starebbe dentro 1,3 milioni di volte), ha 4,6 miliardi di anni e pare che sia quindi alla metà della sua vita. Poi ci sono delle curiosità di cui siamo venuti a conoscenza: tipo che ogni 11 anni i suoi campi magnetici si invertono, il polo nord diventa polo sud e viceversa. Perché? E perché nel corso di questo ciclo compaiono delle macchie solari, che poi scompaiono a ridosso di questa inversione che si compie complessivamente nell’arco di un paio di mesi? Oppure, altra curiosità, o piuttosto sarebbe meglio dire, in questo caso, vero e proprio paradosso: la temperatura della cosiddetta corona, ovvero l’area che circonda la stella, è di un milione di gradi centigradi, quindi decisamente più calda di quella della superficie (5.500 gradi, mentre il nucleo arriva a 15 milioni di gradi). Perché? Mistero.
Le sonde vengono lanciate per questo. Vanno lì per fotografare, misurare, analizzare. Per capire se siano o meno fondate le supposizioni avanzate, se reggano alla prova dei fatti le teorie fin qui formulate. Per studiare il vento solare, ad esempio, che qui da noi dà vita alle affascinanti aurore boreali e australi ma può anche mettere temporaneamente fuori uso i nostri satelliti, le nostre comunicazioni via radio, le nostri reti di distribuzione dell’elettricità. Le sonde viaggiano verso il Sole per riempire di contenuti quel particolare settore della meteorologia che va sotto il nome di “space weather”, ovvero “tempo metereologico spaziale”, che la comunità scientifica e gli esperti di aerospazio studiano come noi (intesi come noi felicemente ignari delle tempeste magnetiche che si scatenano sopra le nostre teste) consultiamo le previsioni del tempo (tra parentesi metereologico e tra parentesi terrestre). Lo fanno non per sapere se è meglio prendere l’ombrello prima di uscire di casa ma, soprattutto in una società come la nostra sempre più condizionata dall’utilizzo di apparecchiature elettroniche, per garantirci che ciò che avviene a milioni di chilometri da noi non metta fuori uso gli strumenti che abbiamo in casa, in ufficio, in tasca. E poi anche, certamente, le sonde partono alla volta del Sole per quell’innata voglia di conoscere dell’uomo che, maneggi tavolette di argilla e inchiostro di china o computer sempre più sofisticati, difficilmente verrà meno con il progredire delle conoscenze.