Torna a far parlare di sé il ‘re’ del Sistema Solare: questa volta Giove si è guadagnato gli onori della cronaca per una scoperta effettuata da Juno, la sonda della Nasa che vanta un significativo contributo italiano con gli strumenti Jiram e KaT. La sonda, lanciata nel 2011 con il compito di analizzare le caratteristiche di Giove come emblema dei pianeti giganti, ha raccolto una serie di dati significativi durante i suoi primi otto fly-by scientifici e da essi gli studiosi hanno notato che l’atmosfera del corpo celeste – all’altezza dell’equatore – presenta una rilevante quantità d’acqua. I risultati dell’analisi sono stati illustrati nell’articolo “The water abundance in Jupiter’s equatorial zone”, pubblicato recentemente su Nature Astronomy; l’indagine è stata condotta da un gruppo di lavoro internazionale, coordinato dal California Institute of Technology e cui hanno preso parte anche rappresentanti del Jet Propulsion Laboratory della Nasa.
I dati di Juno, raccolti dal radiometro Mwr, indicano che all’equatore di Giove l’acqua costituisce circa lo 0,25% delle molecole dell’atmosfera, un valore che supera quasi di tre volte quello del Sole; lo strumento in questione impiega sei antenne che misurano simultaneamente la temperatura atmosferica a differenti profondità. La scoperta di Juno riveste particolare rilievo perché si tratta dei primi dati relativi a tale parametro dai tempi della missione Galileo della Nasa; questa sonda, lanciata nel 1989 per studiare Giove e attiva sino al 2003, aveva raccolto dei dati che suggerivano una notevole secchezza del pianeta rispetto al Sole, in base al confronto della presenza dei componenti dell’acqua (ossigeno e idrogeno). Determinare la quantità di acqua nell’atmosfera di Giove è da anni un target di ricerca molto sentito dai planetologi, che ritengono tale informazione di primaria importanza, sia per le implicazioni che può avere sui fenomeni meteo del pianeta, sia e soprattutto per migliorare le conoscenze sulle origini del Sistema Solare: il gigante gassoso, infatti, è stato probabilmente il primo pianeta a formarsi e contiene buona parte dei gas e delle polveri che non sono state inglobate nel Sole.
Nel dicembre 1995 la sonda Galileo aveva effettuato, con il suo spettrometro, una serie di misurazioni per verificare quanta acqua si potesse trovare nell’atmosfera di Giove fino ad una profondità di circa 120 chilometri, dove la pressione raggiungeva un valore di 22 bar. I dati prospettavano una presenza d’acqua pari a 10 volte meno di quanto previsto e un ammontare di essa – in crescita – a grandi profondità, in aree molto al di sotto della fascia in cui, secondo le attuali teorie, l’atmosfera avrebbe dovuto essere ben miscelata (vale a dire, rappresentativa dell’intero pianeta). Le misurazioni della sonda furono poi messe a confronto con i dati all’infrarosso ottenuti nel contempo da un telescopio di terra e da questa verifica gli studiosi dedussero che probabilmente Galileo si era imbattuta in un’area ristretta e inusualmente secca e calda.
Il team della missione Juno si è particolarmente centrato sull’equatore del pianeta perché in quell’area l’atmosfera appare ben miscelata, anche a livelli profondi, in paragone ad altre zone; la sonda ha raccolto i dati ad una profondità di 150 chilometri, dove la pressione è pari a 33 bar. Una volta constatato che l’acqua in quest’area è più copiosa rispetto a quanto osservato da Galileo, gli studiosi ora intendono fare dei raffronti con le altre zone di Giove. Al momento, Juno si sta muovendo verso nord e si concentrerà sull’emisfero settentrionale di Giove; il suo prossimo fly-by scientifico è in programma il 10 aprile 2020.
Nella foto in alto, la regione sud-equatoriale di Giove scattata dallo strumento JunoCam (Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/SwRi/Msss/Kevin M. Gill)