Ha ingranato la quarta una delle conseguenze più preoccupanti del riscaldamento globale, ovvero l’innalzamento del livello di mari e oceani, da cui possono scaturire pesanti ripercussioni per insediamenti ed attività umane nelle aree costiere: secondo uno studio di Advances in Space Research, negli ultimi 30 anni, il fenomeno si è verificato con maggiore velocità. Il saggio (“Consolidating sea level acceleration estimates from satellite altimetry”), presentato anche all’ultimo congresso annuale dell’American Geophysical Union, è stato curato dalla Dtu-Università Tecnica della Danimarca ed è basato sui dati di una ‘squadra’ di satelliti dell’Esa: CryoSat, Ers 1, Ers 2 ed Envisat.
L’innalzamento dei mari a seguito delle impennate del clima è un fenomeno noto e documentato da tempo: dai primi anni ’90, il livello è cresciuto mediamente di 3 millimetri all’anno. A quale ritmo avvenga questo incremento è una questione piuttosto dibattuta, anche in sedi prestigiose come l’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) delle Nazioni Unite. L’Ipcc, che produce report periodici, utilizza i dati delle missioni Nasa Topex/Poseidon, Jason-1, Jason-2 e Jason-3; in base alle informazioni raccolte da questi satelliti, il tasso di accelerazione nell’innalzamento dei livelli è stato calcolato in 0,084 millimetri all’anno.
I satelliti Esa, a differenza dei loro ‘colleghi’ americani, hanno effettuato misurazioni anche nelle zone polari e quindi hanno fornito dei set di dati che consentono di avere una visione globale più esauriente. I calcoli effettuati dagli esperti della Dtu hanno evidenziato che l’accelerazione media tra il 1991 e il 2019 è stata di 0,095 millimetri all’anno; questo significa che i mari sono saliti di 2 millimetri entro il 2000, di 3 entro il 2010 e cresceranno di 4 in quest’anno. Quindi, il tasso di accelerazione individuato dagli autori del saggio è superiore a quello calcolato dai report dell’Ipcc (0,095 contro 0,084). Avere un quadro più chiaro dei ritmi con cui purtroppo avviene questo dannoso incremento, secondo gli esperti, è di fondamentale importanza per aggiornare i modelli informatici e di conseguenza pianificare azioni mirate a contenere gli effetti negativi del fenomeno.
Nella foto in alto, scioglimento dello strato di ghiaccio nell’Oceano Artico (Crediti: Nasa – Operation IceBridge).