L’agenzia statunitense rischia di perdere la presenza umana sulla stazione spaziale nel 2019 se SpaceX e Boeing non riusciranno a recuperare i ritardi accumulati e attivare in tempo i voli commerciali con equipaggio. Ecco perché
Giulia Bonelli12 aprile 2018
“Non posso rendere abbastanza l’idea di quanto i prossimi 12-18 mesi saranno cruciali per noi”. A parlare è Kathy Lueders, manager del programma voli commerciali della Nasa, che qualche giorno fa ha incontrato il comitato esplorazione umana dell’agenzia spaziale per fare il punto sugli accordi con Boeing e SpaceX. Ne è emerso un quadro delicato, in base al quale la futura presenza americana sulla Stazione spaziale internazionale potrebbe giocarsi appunto nel giro di un anno e mezzo. E soprattutto, potrebbe interamente dipendere dal successo o meno dei primi voli commerciali con equipaggio.
Il motivo? Per rispondere, dobbiamo fare un passo indietro di almeno tre anni. Siamo a Houston nel gennaio del 2015, e durante una conferenza stampa la Nasa annuncia il piano di lavoro per le due aziende selezionate nell’ambito del Commercial crew program: Boeing e SpaceX.
Si tratta della prima dichiarazione pubblica dopo il ricorso, respinto alla fine del 2014, della Sierra Nevada Corporation, la compagnia esclusa dal programma. Ecco che le aziende fondate da William Boeing ed Elon Musk diventano a tutti gli effetti le responsabili di quelli che saranno i futuri taxi da e per la stazione spaziale. La Nasa intende infatti svincolarsi dalla Soyuz, ad oggi unico veicolo atto al trasporto di equipaggi tra la Terra e la Iss dai tempi del pensionamento dello Shuttle, e per farlo ha deciso di scommettere sui voli commerciali. I piani presentati a Houston prevedono quindi una serie di test progressivi sulle navicelle in via di sviluppo, crew Dragon per SpaceX e Cst-100 Starliner per Boeing. Obiettivo comune: mandare nello spazio i primi astronauti su un volo commerciale entro il 2018.
Comincia così un periodo di lavoro intenso per le due aziende, che nel corso dei due anni successivi affrontano le tappe necessarie per le varie prove di collaudo delle navette made in Usa, come i test sul sistema ambientale di Dragon o il drop-testdella capsula Starliner. Eppure già all’inizio del 2017 risulta chiaro che il traguardo iniziale sarà molto difficile da rispettare: entrambe le compagnie hanno infatti accumulato ritardi sui test, e la possibilità di riuscire a mandare un equipaggio in orbita nei tempi prestabiliti si allontana.
Ecco che la Nasa si vede costretta a mettere in conto la possibilità di ritardare l’esordio del suo Commercial crew program. E di farlo proprio nel momento in cui l’esigenza di rendersi autonomi nel trasporto di persone a bordo della Iss si fa più impellente: nella primavera del 2019 terminerà infatti il contratto con la Russia per i posti sulla Soyuz, e la Nasa potrebbe trovarsi senza accesso umano alla casa spaziale. Un rischio che da gennaio di quest’anno appare all’agenzia statunitense sempre più concreto, dopo gli ulteriori slittamenti nella tabella di marcia di Boeing e SpaceX.
Gli ultimi 3 biglietti sulla Soyuz che la Nasa ha acquistato da Roscosmos sono stati comprati proprio tramite Boeing: un ‘cuscinetto’ che doveva garantire all’agenzia spaziale statunitense di restare coperta in vista appunto dell’attivazione dei primi voli commerciali.
La Nasa vuole infatti evitare di firmare un nuovo accordo con la Russia, che non potrebbe essere soltanto per poche ‘corse’ ma tornerebbe a vincolare gli Stati Uniti alla Soyuz. Uno scenario da escludere, tanto più se si considera il budget dell’agenzia per il 2019 presentato dall’amministrazione Trump. Nell’offerta vengono infatti specificatamente stanziati 150 milioni di dollari per il settore privato a servizio delle attività dell’agenzia, a partire dal trasporto di merci e astronauti, mentre non si prevedono ulteriori risorse per usufruire della navicella russa.“Comprare posti aggiuntivi sulla Soyuz – ha confermato Bill Gerstenmaier, amministratore associato volo umano della Nasa – non è un’opzione, viste le tempistiche previste.”
Una volta escluso un nuovo contratto con Roscosmos, alla Nasa restano circa 6 mesi di margine: se SpaceX e Boeing non riusciranno a recuperare almeno in parte i ritardi accumulati e far partire un volo manned entro la metà del 2019, l’agenzia perderà per la prima volta l’accesso alla Iss. Ecco allora spiegato perché il periodo ‘cruciale’ di cui ha parlato Kathy Lueders si giocherà nei prossimi 12-18 mesi.
Durante l’incontro con il comitato esplorazione umana, gli esperti del programma voli commerciali hanno anche iniziato a valutare la possibilità di un piano B: integrare il contratto con Boeing – ed eventualmente considerare anche analoghe proposte di SpaceX – in modo da trasformare un volo non operativo in un volo di servizio con equipaggio. Si tratterebbe del secondo di due lanci a bordo del veicolo Cst-100 Starliner, che in base ai piani dovrebbe trasportare due persone sulla Iss per un soggiorno di due settimane. L’integrazione porterebbe invece l’equipaggio a tre membri e aumenterebbe la durata della missione a sei mesi, in modo da prolungare la presenza statunitense sulla stazione.
“In una programmazione efficiente, tutto potrebbe tornare a posto – ha commentato Kathy Lueders Kathy, aggiungendo però che “Vogliamo dare alle aziende il tempo di fare le cose per bene. Speriamo che questo avvenga il prima possibile, ma non siamo disposti a sacrificare la sicurezza dell’equipaggio.”
Rimane quindi la paura di non riuscire ad avere i ‘taxi privati’ operativi entro la fine del 2019: in tal caso anche eventuali integrazioni dei contratti con Boeing e SpaceX sarebbero inutili. Non resta dunque che aspettare di capire se l’alleanza pubblico-privata nel settore spaziale americano riuscirà a vincere questa corsa contro il tempo.