“Inestimabili, ma anche portatori di grande confusione”. Così l’astronomo David Stevenson ha definito gli ultimissimi dati analizzati dal suo gruppo di ricerca al Caltech statunitense, da cui emerge una versione inedita di Giove e Saturno. Tutto ciò che sapevamo sull’evoluzione dei due giganti gassosi potrebbe rivelarsi inesatto: a mettere in crisi le più diffuse teorie sono le informazioni provenienti dalle sonde Juno e Cassini, che svelano per la prima volta caratteristiche sconosciute dei nostri vicini planetari. I nuovi dati, presentati oggi durante l’American Physical Society March Meeting a Boston, gettano una nuova luce sui processi che portano alla formazione dei mondi gassosi e dei loro campi magnetici.

Cassini ha orbitato attorno a Saturno per 13 anni, prima del suo drammatico tuffo tra gli anelli nel settembre 2017, mentre Juno si trova in orbita attorno a Giove da due anni e mezzo. La prima grande scoperta arriva proprio dalla missione più giovane, i cui strumenti sono stati progettati in modo da essere alimentati solo da energia solare e resistere alle estreme radiazioni gioviane.

“Juno utilizza le microonde per scandagliare l’atmosfera di Giove – spiega Stevenson – e ciò che abbiamo visto nei dati raccolti ci ha sorpreso: un’atmosfera uniformemente mista, qualcosa che le teorie convenzionali non avevano previsto.” Questa composizione atmosferica inaspettata è probabilmente da ricercare nell’antica evoluzione del gigante gassoso, che potrebbe essere venuto a contatto con diversi eventi atmosferici portatori di ghiaccio, elementi liquidi e gassosi.

Ma le sorprese portate da Juno non finiscono qui. Anche i sensori magnetici e gravitazionali installati sulla sonda hanno inviato a Terra dati controversi. In particolare, il campo magnetico gioviano sembrerebbe cosparso di punti a intensità magnetica più alta o più bassa, una differenza percepibile anche tra i due emisferi del pianeta. “È un elemento diverso da qualsiasi cosa abbiamo mai osservato prima” commenta Stevenson.

Passando al cugino Saturno, i dati raccolti da Cassini prima dello schianto tra gli anelli non sono da meno: la sonda ha rilevato un’insolita abbondanza di elementi pesanti in specifiche regioni negli strati più esterni del pianeta. Queste regioni, affermano gli scienziati, giocherebbero un ruolo più importante del previsto nella generazione del campo magnetico di Saturno – altro fattore da attribuire all’evoluzione del gigante gassoso.

Per David Stevenson, che studia i giganti gassosi da 40 anni, questi nuovi enigmi sollevati da Juno e Cassini sono segni inequivocabili della validità delle due missioni. “Le imprese di successo sono quelle che ci sorprendono – commenta il ricercatore – e la scienza sarebbe noiosa se continuasse a darci mere conferme di ciò che sappiamo già.”