👉 Seguici anche sul nostro canale WhatsApp! 🚀

In un cratere da meteorite sono stati trovati segni di vita e un gruppo internazionale di scienziati è riuscito per la prima volta a stabilire con precisione quando questa si sia insediata. La ricerca, pubblicata su Nature Communications, conferma che la vita può nascere anche in ambienti generati da eventi catastrofici, come l’impatto di un corpo celeste sulla Terra.

I crateri da impatto sono presenti su tutti i corpi planetari del nostro Sistema Solare e il tempo necessario perché diventino ambienti abitabili dipende dalle dimensioni della struttura. L’indagine si è concentrata sul cratere di Lappajärvi, in Finlandia, formatosi circa 78 milioni di anni fa. Proprio qui, i ricercatori hanno trovato prove che microrganismi colonizzarono l’area già pochi milioni di anni dopo l’impatto, ‘approfittando’ delle condizioni particolari create dall’evento. L’impatto del meteorite avrebbe infatti generato un sistema idrotermale: l’acqua, riscaldata dal calore, cominciò a circolare nelle fratture della roccia, raggiungendo temperature intorno ai 47 °C, un ambiente caldo, umido e ricco di sostanze chimiche, ideale per ospitare vita microscopica. Grandi crateri come quello di Chicxulub, sepolto sotto la penisola dello Yucatán, in Messico, con un diametro di circa 200 chilometri, potrebbero aver ospitato sistemi idrotermali fino a 1-2 milioni di anni.

«Questa è una ricerca incredibilmente entusiasmante perché collega davvero i punti per capire come si sia stabilita la vita sulla Terra per la prima volta» spiega Gordon Osinski, co-autore dello studio. «In passato abbiamo trovato prove del fatto della colonizzazione microbica nei crateri da impatto, ma ci sono sempre stati dubbi su quando ciò fosse avvenuto e se fosse dovuto all’impatto del meteorite o a qualche altro processo milioni di anni dopo. Ora sappiamo che l’impatto creò subito un ambiente abitabile caldo e umido, che fu rapidamente colonizzato da microrganismi».

Grazie alle analisi isotopiche delle rocce, i ricercatori hanno rilevato firme chimiche compatibili con attività microbica, in particolare, tracce della riduzione dei solfati: un processo biologico comune degli organismi che vivono nel sottosuolo dei crateri. Lo zolfo, elemento fondamentale per la vita, testimonia quindi la presenza di esseri viventi già in quella fase primordiale. Ma non è tutto: sono state individuate anche formazioni minerali più recenti, risalenti a oltre 10 milioni di anni dopo l’impatto, che mostrano segni sia di produzione che di consumo di metano, ulteriore prova che il cratere ospitò una comunità microbica attiva e duratura nel tempo.

«Non vediamo solo tracce di vita, ma possiamo individuare esattamente quando è accaduto – conclude Jacob Gustafsson, primo autore dello studio – Questo ci fornisce una linea temporale di come la vita riesca a trovare una via dopo un evento catastrofico».

 

In apertura: Un campione prelevato dal cratere da impatto di Lappajärvi. Crediti: Henrik Drake.