A caccia di onde gravitazionali? Per scovarle, la cosa migliore è andare a cercare nelle zone più periferiche delle galassie a spirale – compresa la nostra. Questa la conclusione di un nuovo studio coordinato dal Rochester Institute of Technology e accettato per la pubblicazione su Astrophysical Journal Letters. L’articolo, disponibile su portale ArXiv, ha identificato una regione di spazio che potrebbe ospitare i buchi neri orbitanti responsabili delle ultime emissioni gravitazionali ascoltate dagli interferometri negli Stati Uniti e in Italia.
Fino ad oggi si pensava che le galassie nane fossero le più adatte a contenere famiglie di buchi neri, grazie a una serie di circostanze propizie: una popolazione sparsa di stelle; l’assenza di elementi pesanti sprigionati dalle esplosioni di supernove come ferro, oro e platino; e infine la presenza di venti cosmici poco potenti, in grado dunque di lasciare intatte le stelle massicce. Secondo il nuovo studio, però, lo stesso ambiente si può trovare anche ai confini galattici di strutture simili alla nostra Via Lattea. Con un vantaggio: le grandi galassie sono più facili da trovare. “Il contenuto metallico è piuttosto basso anche nei dischi esterni delle galassie a spirale – dice Sukanya Chakrabarti, leader dello studio – e dovrebbe essere compatibile con la presenza di buchi neri.” Ecco il motivo per cui, secondo gli autori della ricerca, le condizioni più favorevoli per la fusione di buchi neri si verificherebbero proprio nei dischi di gas più esterni delle grandi galassie a spirale. “Questo studio – commenta Richard O’Shaughnessy, co-autore dell’articolo e membro della collaborazione LIGO – mostra che quando facciamo previsioni o interpretazioni rispetto alla presenza di buchi neri dobbiamo tener conto non solo delle differenze tra i vari tipi di galassie, ma anche dei diversi ambienti che possiamo trovare al loro interno.”
Le frontiere recentemente aperte dall’astronomia gravitazionale stanno gettando una luce completamente nuova sullo studio del cosmo. In base a questa nuova rivoluzione scientifica, che permette allo stesso tempo di ‘vedere’ e ‘ascoltare’ l’universo, persino oggetti come i buchi neri – troppo densi perché la luce sia in grado di sfuggire – possono essere associati a un’onda gravitazionale e alla sua controparte ottica. “Se puoi vedere la luce proveniente dallo scontro di due buchi neri – conclude Chakrabarti – puoi anche individuare il luogo in cui questa fusione è avvenuta. A quel punto, puoi dedurre i parametri che regolano il ciclo vitale dell’universo: ecco il ‘Santo Graal’ della cosmologia.”