Tutto ciò che pensavate di sapere sul ciclo di vita delle stelle potrebbe non essere del tutto vero o, semplicemente, potrebbe non aver considerato l’esistenza delle cosiddette ‘eccezioni alla regola’. E in questo caso, un’eccezione sopravvissuta a ben due esplosioni stellari nello spazio nell’arco di cinquanta anni, mettendo in dubbio le teorie scientifiche conosciute fin ora sull’argomento. Stiamo parlando della misteriosa stella ‘zombie’ iPTF14hls, oggetto di studi di un team internazionale di astronomi.

Nel 2014 era stata osservata dagli scienziati al fine di comprendere la composizione chimica del materiale espulso per poi classificarla come supernova di tipo II-P. I risultati delle osservazioni condotte sulla stella sembravano essere nella norma, fino a che, pochi mesi dopo, la supernova ha cominciato a diventare  più luminosa cominciando ad attirare sempre più l’attenzione degli scienziati.

Le supernove di tipo II-P, solitamente, rimangono luminose per circa cento giorni. Ma iPTF14hls ha continuato a brillare per più di 600 giorni. Inoltre, gli archivi delle precedenti osservazioni hanno rivelato che non si trattava della prima ed unica esplosione stellare ma che in passato, nel 1954, lo stesso corpo celeste – in quel  punto esatto della costellazione dell’Orsa Maggiore – era già esploso e ‘sopravvissuto’. Il team di scienziati è stato in grado di analizzare la luce emessa dalla stella zombie grazie ad un particolare strumento – chiamato Sed Machine – in grado di classificare rapidamente le supernove e tutti altri eventi astronomici di breve durata o ‘temporanei’. Secondo degli scienziati iPTF14hls potrebbe essere il primo esemplare mai osservato di una pulsational pair-instability supernova (supernova a instabilità di coppia pulsazionale), una stella così calda e supermassiccia da aver prodotto nel suo nucleo antimateria. Ed è proprio l’antimateria a rendere instabile la stella producendo continue esplosioni nell’arco del tempo. E quella registrata nel 2014 potrebbe, dunque, non essere l’ultima. Lo studio è stato pubblicato su Nature.