In un futuro neppure troppo lontano, interi equipaggi saranno impegnati in missioni di lunga durata sulla Luna e su Marte. Ma per ridurre i rischi legati a queste nuove frontiere dell’esplorazione spaziale, c’è ancora un grande ostacolo da aggirare: le radiazioni cosmiche.

Fuori dal bozzolo protettivo dell’atmosfera terrestre esiste infatti un universo pieno di emissioni potenzialmente dannose per la salute degli astronauti. Avventurandosi nello spazio profondo si trovano forme di energia molto più potenti di quelle che possiamo incontrare sul nostro pianeta: le radiazioni cosmiche sono composte da atomi i cui elettroni sono stati letteralmente spogliati, perché lo spazio interstellare provoca un’accelerazione delle particelle quasi a sfiorare la velocità della luce. Questa “corsa folle” nell’universo fa perdere agli elettroni tutto il loro rivestimento, finché non resta soltanto il nucleo: ecco che i raggi cosmici possono essere veri e propri proiettili invisibili per i veicoli in viaggio attraverso lo spazio.

Studi recenti hanno inoltre dimostrato che l’esposizione prolungata alle radiazioni spaziali può aumentare il rischio di tumori e danneggiare il sistema nervoso centrale e le funzioni cognitive. Per questo sono in corso continue attività di ricerca per capire esattamente cosa può accadere agli astronauti al di sopra dell’orbita terrestre. Il laboratorio migliore al momento è la Stazione spaziale internazionale, ed è qui che si concentra la maggior parte degli sforzi per comprendere meglio e aggirare il problema delle radiazioni cosmiche.

Esattamente lo scopo di Perfect Crystals, un nuovo studio della Nasa concepito con l’obiettivo di aiutare gli scienziati ad affrontare la questione utilizzando una proteina che già si trova nel nostro organismo. Si tratta della cosiddetta MnSOD, che secondo i ricercatori sarebbe capace di “rompere” la radiazione in una sostanza più benigna, in grado di essere processata più facilmente dal metabolismo umano.

L’esperimento, trasportato sulla Iss dalla sedicesima missione commerciale di rifornimento di SpaceX (Crs-16), è coordinato da Gloria Borgstahl dell’Università del Nebraska. La ricercatrice è partita dallo studio di come il nostro corpo gestisce le radiazioni più deboli già presenti sul nostro pianeta: “Tutti sulla Terra siamo costantemente bombardati dalle radiazioni solari – spiega Borgstahl – e ciò che ci aiuta a proteggerci da queste radiazioni è la proteina MnSOD. Pensiamo che lo stesso meccanismo possa essere sfruttato anche nello spazio profondo.”

Per questo il team di ricerca ha messo a punto l’esperimento Perfect Crystal – nome completo “Growth of Large, Perfect Protein Crystals for Neutron Crystallography” – che punta a svelare l’esatto funzionamento della preziosa proteina utilizzando la tecnica della cristallografia. A tal proposito, l’ambiente migliore è proprio quello della microgravità, perché è molto più libero da impurità rispetto a qualunque laboratorio terrestre.

«È ironico che il problema delle radiazioni spaziali possa essere risolto proprio con l’aiuto dello spazio – commenta Jahaun Azadmanesh, dottorando all’Università del Nebraska e parte del progetto – ma l’ambiente della Stazione spaziale internazionale fornisce esattamente quello che ci serve per trasformare le proteine in cristalli con il minor numero possibile di imperfezioni».

L’esperimento Perfect Crystals andrà avanti nelle prossime settimane sulla Iss. Una volta pronti, i campioni prodotti saranno riportati sulla Terra per permettere agli scienziati di analizzare i “cristalli perfetti” che potrebbero aiutare a risolvere il problema delle radiazioni cosmiche.