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Per le future missioni di esplorazione umana dello spazio, la collaborazione tra astronauti e sistemi robotici autonomi non è più un’opzione, ma una necessità. Operare in ambienti lontani e ostili richiede tecnologie capaci di garantire sicurezza, efficienza e affidabilità, riducendo il carico operativo degli equipaggi e consentendo loro di concentrarsi su compiti di priorità più alta. È in questo scenario che si inserisce un nuovo studio condotto da ricercatori di Stanford, pubblicato sul server di preprint arXiv e presentato alla International Conference on Space Robotics (iSpaRo) 2025. Gli scienziati hanno realizzato la prima dimostrazione in orbita di un robot guidato dall’intelligenza artificiale, capace di muoversi autonomamente nella microgravità della Stazione Spaziale Internazionale (Iss).

Il protagonista è Astrobee, il robot progettato dalla Nasa per supportare le operazioni a bordo della Iss e ridurre il tempo che gli astronauti dedicano alle attività di routine, consentendo loro di concentrarsi su compiti scientifici e operativi di maggiore valore. Il sistema sviluppato dai ricercatori combina un metodo di ottimizzazione tradizionale, la programmazione convessa sequenziale, con un modello di apprendimento automatico capace di fornire un warm start: una bozza iniziale del percorso basata su migliaia di soluzioni precedenti. Il modello di machine learning aiuta a raggiungere la soluzione molto più rapidamente, in quanto il robot non parte da zero ma da una soluzione iniziale “intelligente”, generata da una rete neurale addestrata su migliaia di traiettorie simulate. Questo approccio, a differenza del cold start, fornisce al sistema un punto di partenza già vicino alla traiettoria ottimale, riducendo il numero di calcoli necessari e accelerando la pianificazione senza compromettere la sicurezza.

Prima di arrivare nello spazio, il sistema è stato testato al Nasa Ames Research Center su un tavolo di granito con aria compressa, simulando la microgravità. Poi, il 13 febbraio 2025, è arrivato il momento della prova vera: diciotto traiettorie eseguite due volte, prima con il metodo tradizionale e poi con il warm start. Il risultato? Pianificazione più veloce del 50-60%, soprattutto in corridoi stretti e manovre complesse, senza perdita di qualità. «È la prima volta che l’IA viene utilizzata per aiutare a controllare un robot sulla Iss», sottolinea Somrita Banerjee, prima autrice dello studio. «Dimostra che i robot possono muoversi più velocemente ed efficientemente senza sacrificare la sicurezza».

Con il successo dell’esperimento, il sistema ha raggiunto il Technology Readiness Level 5, segnalando che è pronto per ambienti operativi reali. Ma il vero valore di questa tecnologia si vedrà nei prossimi anni, quando i robot accompagneranno gli astronauti nelle missioni su Luna e Marte, in cui la teleoperazione non sarà sempre possibile. Queste soluzioni permetteranno agli umani di concentrarsi su compiti di priorità più alta, ottimizzando sicurezza, tempo e risorse.

E’ la direzione verso cui già guarda il direttore dello Stanford Autonomous Systems Laboratory Marco Pavone, autore senior dello studio: «Come parte del Center for Aerospace Autonomy Research (Caesar), stiamo collaborando con lo Stanford Space Rendezvous Lab per esplorare modelli di IA più avanzati—gli stessi utilizzati negli strumenti linguistici moderni e nei sistemi di guida autonoma. Con capacità di generalizzazione più robuste, questi modelli consentirebbero ai robot di affrontare situazioni ancora più complesse nelle future missioni spaziali».

Questa ricerca si inserisce in una sfida globale: rendere i robot capaci di operare in ambienti incerti e complessi. Non a caso, il Massachusetts Institute of Technology di Boston sta lavorando su algoritmi probabilistici per pianificare percorsi in territori sconosciuti, pensati per droni di soccorso o rover marziani.

Due approcci diversi, un obiettivo comune: autonomia sicura e affidabile, indispensabile per rendere l’esplorazione umana nello spazio una realtà, come ricorda Marco Giardino, primo tecnologo dell’Agenzia Spaziale Italiana: «l’uso di queste tecniche può risultare particolarmente efficace nel supportare un astronauta in situazioni nelle quali il fattore tempo è determinante. Potersi avvalere di un assistente robotico a cui delegare alcune azioni secondarie necessarie, automatizzabili, che richiedano del tempo e che distoglierebbero quindi l’operatore umano dal compito principale, fornirebbe un aiuto importante (o perfino cruciale) in situazioni di emergenza».

Guarda il video di come la ricerca è stata condotta con Astrobee a bordo della Iss:

Crediti: Nasa

 

Immagine in alto: l’astronauta della Nasa Anne McClain e il primo robot Astrobee — chiamato Bumble — nel modulo Kibo della Stazione Spaziale Internazionale. Crediti: Nasa / Anne McClain