A dieci anni esatti dagli Accordi di Parigi del 2015, oggi i riflettori sono puntati sulla Cop 30, che ha aperto i battenti il 10 novembre nella città brasiliana di Belém, ai confini della foresta amazzonica. La conferenza annuale sul clima delle Nazioni Unite è l’occasione più importante per discutere le politiche da adottare sul cambiamento climatico a livello globale. Discussioni, tavoli operativi e negoziati si basano in gran parte sull’immensa mole di dati e studi scientifici messi insieme dal gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, l’Ipcc, i cui report periodici dimostrano che quella climatica è una delle crisi più serie del nostro tempo, e che è una crisi di origine antropica.

Una crisi visibile nelle conseguenze più estreme del cambiamento climatico, dallo scioglimento dei ghiacci all’innalzamento dei mari, dalle inondazioni alla desertificazione. Tutto questo è ormai dimostrato da un intreccio sempre più complesso di dati, raccolti nel corso di decenni dagli strumenti che per primi hanno permesso di avere uno sguardo globale sul clima che cambia: i satelliti.

Negli ultimi 65 anni, i satelliti hanno rivoluzionato il modo di osservare il nostro pianeta. Da strumenti inizialmente concepiti solo per la meteorologia, sono diventati gli occhi con cui monitoriamo i segni della crisi climatica. Il primo satellite meteorologico della storia, Tiros-1, è stato lanciato dalla Nasa nel 1960. L’ultimo lancio risale invece a pochi giorni fa, e ha portato in orbita il satellite Sentinel 1-D della flotta europea Copernicus. Nel mezzo sono stati mandati in orbita centinaia di satelliti di osservazione della Terra, che permettono di misurare tantissime variabili, come la temperatura del mare, l’altezza delle onde, la velocità e la direzione del vento, lo stato di salute della vegetazione e la concentrazione in atmosfera di gas serra, i principali responsabili del cambiamento climatico indotto dall’essere umano.

Ecco perché la crisi climatica si vede in modo così nitido dallo spazio. E i dati satellitari, insieme ai dati misurati a terra e ai nuovi modelli climatici, ci forniscono un quadro sempre più dettagliato delle conseguenze a breve e lungo termine della crisi climatica sul pianeta. Un punto di partenza fondamentale per la Cop di Belém, chiamata a dare risposte concrete a un’emergenza globale che non può più essere rimandata.

Immagine in apertura: mappe della biomassa forestale realizzate dall’Esa nell’ambito della Climate Change Initiative, per monitorare il ciclo del carbonio e i cambiamenti del clima. Crediti: Esa / Cci Biomass project

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