I brillamenti solari, le gigantesche esplosioni di energia che avvengono nell’atmosfera del Sole, potrebbero essere molto più caldi di quanto si pensasse. In particolare, gli ioni, le particelle cariche positivamente che compongono il plasma solare, raggiungerebbero temperature fino a 60 milioni di gradi, circa sei volte e mezzo superiori rispetto alle stime tradizionali. La scoperta, compiuta da un gruppo di ricercatori dell’Università di St. Andrews e pubblicata su The Astrophysical Journal Letters, propone una spiegazione a un enigma lungo mezzo secolo, legato all’ampiezza delle linee spettrali osservate durante i brillamenti.
Questi eventi sono tra i più spettacolari del nostro sistema stellare: in pochi minuti liberano immense quantità di energia, riscaldano il plasma a decine di milioni di gradi e aumentano l’emissione di raggi X e radiazioni ultraviolette. Gli effetti si fanno sentire anche sul nostro pianeta, con ripercussioni sull’atmosfera, disturbi alle comunicazioni radio e rischi per satelliti e missioni spaziali: capire come il Sole riscaldi le sue particelle è dunque cruciale anche per la vita quotidiana sulla Terra.
Fin dagli anni Settanta gli scienziati si domandano perché le linee spettrali dei brillamenti – le brillanti intensificazioni della radiazione solare nell’ultravioletto e nei raggi X – risultassero più larghe del previsto. L’ipotesi più diffusa le attribuiva a moti turbolenti, un’interpretazione che col tempo è stata sempre più messa in discussione. Ora, il nuovo studio suggerisce invece che l’anomalia non sia dovuta soltanto alla turbolenza, ma anche al fatto che gli ioni risultino molto più caldi degli elettroni. A sostegno di questa tesi, il team ha confrontato dati di campi diversi: dalle osservazioni del vento solare e della magnetosfera terrestre fino a simulazioni numeriche. Tutti gli scenari hanno mostrato un risultato coerente: un processo noto come riconnessione magnetica tende a riscaldare gli ioni in misura molto maggiore rispetto agli elettroni. Applicando questo meccanismo ai brillamenti, i ricercatori hanno calcolato che la differenza di temperatura tra ioni ed elettroni può durare a lungo, persino per decine di minuti, nelle zone cruciali dell’esplosione solare. La scoperta, che risolve un mistero di lunga data, apre anche una nuova finestra sulla comprensione del comportamento della nostra stella, nonché dei suoi fenomeni e del loro impatto sulla Terra.
In apertura: brillamento solare di classe X5.8 che ha raggiunto il picco alle 21:23 Edt del 10 maggio 2024. L’immagine mostra un sottoinsieme di luce ultravioletta estrema che evidenzia il materiale estremamente caldo presente nei brillamenti. Crediti: Nasa/Sdo