Di Redazione Inaf
Cosa succede all’interno delle immense nubi molecolari presenti nel cosmo durante il processo di formazione di nuove stelle? A questo dibattuto argomento il lavoro guidato da Alessio Traficante dell’Istituto Nazionale di Astrofisica a Roma fornisce una interpretazione in controtendenza rispetto alle più recenti osservazioni. I risultati del lavoro recentemente pubblicato sulla rivista Astronomy&Astrophysics suggeriscono che nel processo di formazione stellare la forza di attrazione gravitazionale che fa condensare il gas della nube sia sostanzialmente in equilibrio con la turbolenza del gas stesso, che tende a rallentare questo processo, se non ad impedirlo del tutto.
Le osservazioni degli ultimi anni hanno mostrato un’apparente tendenza sistematica: più è alta la massa della regione di formazione stellare in esame, più l’energia gravitazionale sembra dominare su quella cinetica della turbolenza locale. In altre parole, più una regione di formazione stellare è massiccia, più il sistema sembra collassare con forza.
L’aspetto poco chiaro di questo risultato sperimentale, però, è che i sistemi considerati si trovano, in teoria, tutti inizialmente in equilibrio indipendentemente dalla loro massa. Cosa può portare alla rottura dell’equilibrio a favore della gravità, rottura non predetta dalla maggior parte dei modelli teorici?
Partendo da questa domanda, Traficante e il suo team hanno realizzato una serie di accurate simulazioni al calcolatore che hanno dimostrato come la perdita dell’equilibrio tra le due forze contrastanti che regolano l’evoluzione delle nubi molecolari è solo apparente: il metodo utilizzato fino ad oggi per valutare questo processo, basato sull’osservazione spettroscopica dell’emissione di riga di una specifica molecola di gas, si dimostra non sufficientemente affidabile. Un problema che diventa sempre più marcato al crescere della massa della regione che viene presa in esame.
“Questo lavoro teorico dimostra che il moto nelle regioni di formazione stellare massicce è molto più complesso di quello che immaginavamo, e queste regioni mantengono un equilibrio tra gravità e turbolenza durante tutta la loro fase di formazione” commenta Traficante. “Concludere, come fatto finora, che le zone più massicce sono anche quelle più propense al collasso sembra essere il risultato di misure che si sono rivelate incomplete e limitate dall’uso di un singolo tracciante per determinarne il livello di turbolenza, piuttosto che la corretta fisica che regola la formazione stellare. Queste regioni però collassano e formano stelle, lo sappiamo. Questo collasso potrebbe avvenire per una rottura anche minima del loro equilibrio o, secondo una suggestiva teoria che sta prendendo sempre più piede in questi anni, ancora una volta l’interpretazione delle nostre osservazioni ci inganna: la turbolenza che osserviamo potrebbe essere prodotta dal collasso gravitazionale stesso e quindi alimentare, anziché rallentare, la formazione stellare. Questo è ancora tutto da scoprire.”
Sergio Molinari, anch’egli ricercatore INAF a Roma e coautore dello studio, aggiunge: “Grazie a osservazioni come quelle eseguite dal satellite dell’ESA per osservazioni nell’infrarosso Herschel, che hanno identificato centinaia di migliaia di zone di formazione stellare nella Via Lattea, possiamo finalmente studiare campioni statisticamente significativi di queste regioni. Questo lavoro dimostra che interpretare questa mole di dati è un lavoro tutt’altro che semplice. La scelta dello stesso tracciante per determinare le proprietà cinematiche in regioni di formazione stellare, finora ritenuto l’approccio corretto, si trascina invece delle incertezze che sono emerse proprio grazie all’analisi di un vasto campione di regioni. Stiamo solo scalfendo la superficie delle informazioni raccolte negli ultimi anni, c’è ancora tantissimo da scoprire prima di poter dire di avere una comprensione del meccanismo di formazione stellare, in particolare di alta massa”.