Prima che Louis Camille Maillard, scienziato e gastronomo, all’inizio del ‘900 scoprisse che la reazione chimica tra un amminoacido e una riduzione di zuccheri nei cibi garantiva l’esaltazione dei sapori in cottura, nella profondità dei mari si riproduceva la medesima combinazione chimica a favore della vita sulla Terra primordiale.

Secondo uno studio dell’università di Leeds, pubblicato su Nature, il processo chimico utilizzato in cucina ha contribuito ad aumentare l’ossigeno ed a ridurre i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera, favorendo le condizioni per forme di vita complesse.

La ricerca afferma che il carbonio è stato rilevato nei fondali marini in grandi quantità. Ma qual è la sua provenienza?

Secondo Caroline Peacock dell’Università di Leeds, il carbonio organico presente nel mare proviene principalmente da microscopici organismi viventi. Quando questi organismi muoiono, si depositano sul fondo del mare e vengono consumati dai batteri. Il processo di decadimento utilizza l’ossigeno e rilascia anidride carbonica nell’oceano che alla fine si riversa nell’atmosfera.

La reazione di Maillard – in cucina – converte le molecole più piccole in molecole più grandi che, nel paragone tra i fornelli di una cucina e i fondali marini, comporta per i batteri o microrganismi presenti nel fondo del mare, la difficile ‘ digeribilità’ e quindi l’impossibile scissione delle molecole più grandi.

La ‘conservazione del carbonio organico’ per decina di migliaia – se non milioni – di anni nei fondali marini ha prodotto due effetti a vantaggio della variazione del riscaldamento della superficie terrestre: quantità ingenti di anidride carbonica trattenuta e rilascio di ossigeno verso l’atmosfera terrestre.

Non si parla di briciole, ma di ben 4 milioni di tonnellate di carbonio organico ogni anno bloccate nel fondo marino: l’ammontare equivale a 50 volte il peso del celebre ponte ‘Tower Bridge’ di Londra.

Questo scenario ha limitato le variazioni del livello di calore sulla superficie terrestre negli ultimi 400 milioni di anni a una media di circa 5°C.

Come hanno fatto i ricercatori a capire che si trattasse della reazione di Maillard quello che avveniva nei sedimenti presenti nel mare? È stato riprodotto un modello in laboratorio per osservare la reazione di composti organici semplici mescolati con diverse forme di ferro e manganese a 10°C, temperatura del fondo marino.

L’analisi ha rivelato che ‘l’impronta chimica’ dei campioni di laboratorio – che avevano subito la reazione di Maillard – corrispondeva a quella dei campioni di sedimenti prelevati da località del fondo marino in tutto il mondo.

Oliver Moore, primo autore dello studio e ricercatore in biogeochimica presso la School of Earth and Environment di Leeds, dichiara: «Nel 1970 era stato suggerito che la reazione di Maillard potesse verificarsi nei sedimenti marini, ma si pensava che il processo fosse troppo lento per avere un impatto sulle condizioni esistenti sulla Terra. I nostri esperimenti hanno dimostrato che in presenza di elementi chiave, vale a dire ferro e manganese che si trovano nell’acqua di mare, la velocità di reazione è aumentata di decine di volte»

Lo studio apre nuovi scenari per l’utilizzo di tecnologie di cattura e trattenimento del carbonio in forme stabili prima che si trasformi in anidride carbonica, a vantaggio degli interventi sui devastanti cambiamenti climatici sulla Terra.

In apertura: gli scienziati ritengono che l’ambiente vicino alla costa sia dove viene sepolta la maggior parte del carbonio organico. Crediti: Università di Leeds.