Mondi remoti dal profilo chimico differente, a seconda dell’area del disco protoplanetario in cui si sono formati: è quanto analizza uno studio appena pubblicato su The Astrophysical Journal Letters (articolo: “Exoplanet Volatile Carbon Content as a Natural Pathway for Haze Formation”). La ricerca, mirata a estendere le zone di ‘caccia’ degli esopianeti potenzialmente abitabili, è stata svolta da un team multidisciplinare ed è stata coordinata dal Dipartimento di Astronomia dell’Università del Michigan; vi hanno preso parte anche esperti del Centro Goddard della Nasa.

Gli studiosi sono partiti dai modelli in uso per la ricerca di corpi celesti che potrebbero ospitare la vita e, ritenendoli troppo limitati e condizionati dalle caratteristiche fisiche della Terra, ne hanno elaborato uno ad hoc per la loro indagine.  I dischi protoplanetari sono stati suddivisi in tre aree, prendendo in considerazione anche una zona che finora era stata trascurata. Come si può vedere nell’immagine in alto, le zone in questione sono separate da due linee di demarcazione: la prima regione – quella appunto trascurata – comprende lo spazio tra la stella e la linea definita soot line (‘linea di fuliggine’), ovvero il luogo in cui le sostanze organiche allo stato solido vengono irreversibilmente distrutte; la seconda è delimitata dalla soot line e dalla linea del ghiaccio, vale a dire il confine tra i pianeti composti da silicati e quelli formati in buona parte da ghiacci; la terza, infine, è la regione più esterna del disco a partire da questa ultima linea.

Il gruppo di lavoro, tramite il modello, ha verificato cosa può accadere quando un esopianeta ricco di silicati con lo 0,1%-1% in massa e la presenza variabile di acqua si forma nell’area della soot line: I risultati mostrano che il corpo celeste potrebbe sviluppare un’atmosfera ricca di metano, attraverso un processo definito degassamento.

Il metano costituisce un ambiente favorevole alla formazione di foschie, grazie alle interazioni con i fotoni stellari; nel Sistema Solare, un processo di questo tipo è stato individuato su Titano, luna di Saturno. I pianeti che nascono in questa regione, quindi, rilascerebbero una maggiore quantità di carbonio: secondo gli studiosi, anche questo fenomeno può produrre foschie che sarebbero in grado di cambiare i valori di quei mondi considerati abitabili.

Queste brume potrebbero essere un segnale dell’esistenza di carbonio volatile nel mantello di un pianeta. «La presenza del carbonio, la ‘spina dorsale ‘della vita – spiega Ted Bergin dell’Università del Michigan, primo autore dello studio – significa che il pianeta ha la possibilità di essere considerato abitabile o comunque merita un ulteriore approfondimento».

Se i risultati della simulazione venissero confermati, concludono gli studiosi, potrebbe esserci una classe di pianeti ‘nebbiosi’ con abbondanti quantità di carbonio volatile: uno scenario tutto da esplorare nell’ambito degli studi sull’abitabilità.

In alto: le zone in cui sono suddivisi i dischi protoplanetari e i tipi di pianeti che in esse si formano (Crediti: Ari Gea/SayoStudio)