Gli asteroidi e gli altri corpi celesti che hanno colpito la Luna nel tempo hanno modificato la struttura della sua superficie, ma anche creato, in profondità, un terreno poroso. Ecco cosa ha rivelato la missione Grail (Gravity Recovery and Interior Laboratory) della Nasa, che tra il 2011 e il 2012 ha misurato la gravità della Luna e mostrato che sotto la superficie il terreno è molto più poroso di quanto previsto. Un fenomeno dovuto appunto agli antichi impatti di oggetti celesti con il nostro satellite.

Partendo da questi dati, un team di ricerca guidato da Brandon Johnson e Sean Wiggins, scienziati planetari ala Purdue University in Indiana (Usa), ha studiato la relazione tra gli impatti e la porosità di un pianeta. I risultati, pubblicati su Nature Communications, potrebbero fornire nuovi indizi sull’eventuale abitabilità planetaria.

«Questo è il primo lavoro che mostra davvero che i grandi impatti sono in grado di spaccare la crosta lunare dando luogo a delle porosità» ha spiegato Johnson.

Ed è proprio in queste ‘porosità’ che si possono annidare antiche forme di vita. La presenza di piccoli spazi vuoti crea infatti un sistema di circolazione di fluidi, che a sua volta potrebbe portare alla formazione di composti preorganici.

Oltre ad analizzare i dati di Grail, i ricercatori hanno anche cercato di comprendere la formazione di porosità a seguito d’impatti planetari. Attraverso una serie di simulazioni (i cui risultati sono in parte sintetizzati in questo video), il team ha modellato lo scontro tra pianeti terrestri e impattatori di cento chilometri di diametro. Tutti gli scontri simulati avvenivano alle stesse condizioni, ma con una gravità superficiale corrispondente a quella di Marte oppure della Terra. Ciò che è emerso è che la gravità di un pianeta ha un effetto fondamentale sull’elasticità e porosità di un terreno.

«Questi risultati – ha detto Wiggins – si possono mettere in rapporto anche con l’evoluzione della Terra primordiale e di Marte. Se anche questi mondi primordiali avessero ospitato tracce di vita, i grandi impatti avrebbero sterilizzato il pianeta e fatto evaporare gli oceani. Ma la vita sarebbe comunque sopravvissuta nei pori e nelle fessure che si trovavano poche centinaia di metri più in basso».

La porosità del terreno avrebbe dunque potuto proteggere eventuali forme di vita dagli effetti di devastanti collisioni con altri corpi celesti. Questa scoperta potrebbe rivelarsi molto utile per le future missioni su Marte o in altri luoghi dove si valuta la presenza elementare di vita. Le zone più porose potrebbero infatti essere buone candidate alla potenziale abitabilità, dando dunque utili indizi su dove andare a cercare antiche forme di vita.

 

Immagine in apertura: Gradienti di gravità misurati dalla missione Grail sul lato nascosto e visibile della Luna. Le aree rosse e blu indicano gradienti più forti a causa di anomalie di massa sottostanti. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech