Divoratori cosmici per eccellenza, i buchi neri sono tra gli oggetti più potenti, affascinanti e misteriosi del cosmo. Ma oggi, grazie all’osservazione dell’universo a raggi X, gli scienziati hanno svelato molti degli enigmi legati a questi portentosi corpi celesti da cui nulla, neppure la luce, riesce a sfuggire.

È il caso dell’Osservatorio della Nasa Chandra, che ha scoperto nuovi aspetti dei devastanti banchetti cosmici dei buchi neri ai danni delle stelle circostanti. La missione statunitense ha permesso di mappare oltre 100 galassie, analizzando come i relativi buchi neri acquistano peso. I risultati, accettati per la pubblicazione su The Astrophysical Journal e disponibili in preprint su ArXiv, suggeriscono un livello di distruzione stellare raramente osservato prima. In pratica, per raggiungere le loro dimensioni attuali, i buchi neri osservati da Chandra hanno fatto fuori moltissime stelle – più di quanto si pensasse in precedenza.

L’immagine in alto mostra quattro delle galassie analizzate, NGC 1385, NGC 1566, NGC 3344 e NGC 6503. I raggi X di Chandra, visibili in blu, sono stati sovrapposti alle immagini ottiche ottenute da Hubble. All’interno di queste quattro galassie, dunque, si annidano alcuni tra i più famelici buchi neri mai osservati.

La scoperta getta una nuova luce anche sui meccanismi di formazione dei buchi neri, in particolare quelli di massa intermedia (detti anche Imbh, da intermediate-mass black holes).

«Al momento, il telescopio della Nasa Chandra – spiega Andrea Marinucci, ricercatore dell’Agenzia Spaziale Italiana – è quello con la risoluzione angolare migliore in orbita. Il che ci permette di localizzare con grande precisione sorgenti astrofisiche che emettono raggi X, in questo caso buchi neri. Il nuovo studio mostra come gli ammassi stellari particolarmente densi al centro delle galassie possano creare le condizioni necessarie per la formazione dei buchi neri intermedi, una classe elusiva di sorgenti che hanno una massa compresa tra le centinaia e le migliaia di volte quella del nostro Sole».

Secondo gli autori della ricerca, infatti, la chiave del meccanismo di formazione dei buchi neri intermedi potrebbe essere proprio il loro ambiente circostante. Un ambiente galattico particolarmente denso di stelle – com’è il caso delle galassie osservate da Chandra – permette ai buchi neri di ‘mangiare’ di più, e questo influisce direttamente sulla loro evoluzione.

La finestra sull’universo aperta da Chandra sarà ampliata ancora di più dalle future missioni per l’osservazione del cosmo a raggi X, come Ixpe.

«Ixpe, la missione Nasa-Asi per lo studio della polarizzazione in banda X, ci permetterà di avere informazioni uniche e senza precedenti sulla geometria del materiale in prossimità dei buchi neri di taglia stellare (5-30 volte la massa del Sole) e supermassicci (che hanno masse di milioni o addirittura di miliardi di volte quella solare)», dice Andrea Marinucci.

Insieme al suo team dell’Agenzia Spaziale Italiana, Marinucci utilizza già i dati di Chandra per esplorare la morfologia delle regioni intorno ai buchi neri supermassicci, in particolare quelli ospitati al centro dei Nuclei Galattici Attivi. Altri famigerati divoratori cosmici, di cui missioni come Ixpe potrebbero svelare nuovi segreti.

Immagine in apertura: La galassia NGC 1385; immagine in basso: le galassie NGC 1385, NGC 1566, NGC 3344 e NGC 6503. Crediti: Raggi X Nasa/Cxc/Washington State Univ./V. Baldassare et al., Ottica Nasa/Esa/STScI