Questa storia inizia nel maggio 2020, quando un team di astronomi guidato dall’Eso pubblica un articolo su HR 6819. Questo oggetto, un sistema formato da due stelle a soli 1000 anni luce di distanza da noi.

«Guardando le immagini era subito evidente che c’era qualcosa di sbagliato in questo sistema». Così Thomas Rivinius, lo scienziato dell’Eso a capo dello studio, si accorge che una delle due stelle sembra seguire un’orbita molto ravvicinata intorno a un oggetto invisibile. Oggetto che può essere soltanto una cosa, conclude: un buco nero, il più vicino alla Terra mai trovato.

Ma è davvero così? Un team di ricerca dell’Università Cattolica di Lovanio in Belgio mette in dubbio questo risultato. La disputa scientifica però molto presto si trasforma in un’alleanza, il che, come spesso accade, porta a fare più scienza. Un iniziale punto d’incontro c’è: entrambi i team concordano sulla presenza del sistema binario di stelle. Ma analizzando HR 6819 con il Vlt dell’Eso, gli scienziati si accorgono che le due stelle sono in realtà molto più vicine di quanto sembrasse dalle prime osservazioni.

«Una stella ruba materiale dall’altra», spiega Abigail Frost dell’Università di Lovanio, leader del nuovo studio appena pubblicato che svela finalmente il mistero: HR 6819, è un sistema ‘vampiro’, formato da due stelle che si trovano in una rara e breve fase della loro evoluzione. Ma non c’è alcun buco nero.

Si tratta comunque di una coppia stellare molto interessante, e adesso il team internazionale punta a studiarla ancora più da vicino per comprenderne meglio l’evoluzione. Nel frattempo, la storia del buco nero che non c’è ci insegna ancora una volta il valore della cooperazione nella ricerca, che talvolta permette anche di andare oltre la diversità di opinioni scientifiche.

 

Immagine in apertura: Rappresentazione artistica del sistema di stelle HR 6819. Crediti: Eso/L. Calçada