FASCIA DI KUIPER/È quanto afferma un nuovo studio pubblicato su Icarus e fondato su un modello che unisce i dati delle missioni New Horizons e Rosetta
Valeria Guarnieri28 maggio 2018
Continua a riservare sorprese e guadagnarsi gli onori della cronaca, come se volesse prendersi una rivincita sul declassamento a pianeta nano decretato dall’Unione Astronomica Internazionale nel 2006: Plutone, l’ex nono pianeta del Sistema Solare, torna a far parlare di sé per uno studio sulla sua formazione condotto da un team del Southwest Research Institute di San Antonio (Texas). La ricerca è stata illustrata nell’articolo “Primordial N2 provides a cosmochemical explanation for the existence of Sputnik Planitia, Pluto” e pubblicata recentemente sulla rivista di scienze planetarie Icarus.pLU
Gli scienziati hanno elaborato un modello riguardante la formazione di Plutone, basandosi sui dati raccolti da due storiche missioni di esplorazione planetaria: New Horizons della NASA e Rosetta dell’ESA. La simulazione è stata definita ‘modello cosmo-chimico della cometa gigante’ e si fonda in particolare sull’abbondante presenza di azoto nella Sputnik Planitia, un ampio ghiacciaio – situato sulla superficie del pianeta nano – che forma la zona sinistra della Tombaugh Regio. Nel costruire il modello, gli studiosi hanno riscontrato una particolare coerenza tra l’ammontare dell’azoto nel ghiacciaio e quello che si sarebbe accumulato, se Plutone si fosse formato dalla fusione di un miliardo pLUONEdi comete o altri oggetti della Fascia di Kuiper con una composizione simile a quella di 67P, la cometa esplorata da Rosetta.
Il gruppo di lavoro ha cercato anche di capire quale sia stato, in passato, il comportamento dell’azoto del pianeta nano: ad esempio, se questo elemento volatile possa essere fuoriuscito dall’atmosfera ed essersi diffuso nello spazio. Per avere un quadro chimico più completo, inoltre, i ricercatori hanno dovuto armonizzare i dati relativi alle proporzioni di monossido di carbonio (ora scarsamente presente su Plutone) e quelle dell’azoto. Gli autori dell’articolo ritengono che la composizione chimica dell’antico Plutone sia stata influenzata dagli oggetti cometari che lo avevano formato e poi sia stata successivamente modificata dall’acqua allo stato liquido, presente forse in un oceano sub-superficiale. Lo studio, secondo il team, è infine una dimostrazione di come si possano costruire nuovi scenari di ricerca utilizzando in maniera innovativa i dati raccolti da missioni di successo.