Nel periodo dell’anno in cui l’arrivo di una cometa annuncia il Natale, la scienza ci illumina sull’enigma che avvolge il nucleo di questo corpo celeste.
Mentre si avvicinano al Sole, molte comete si colorano, le chiome diventano verdi, ma la sfumatura scompare prima di raggiungere la coda. L’ingrediente è carbonio biatomico, un gas di colore verde creato dall’interazione tra luce solare e materia organica, si trova solo in ambienti estremamente energetici o a basso contenuto di ossigeno.
Già negli anni Trenta del secolo scorso, il premio Nobel per la chimica Gerhard Herzberg, teorizzò che il fenomeno fosse dovuto alla distruzione del carbonio biatomico da parte dei raggi solari, ma gli strumenti dell’epoca non permisero la dimostrazione.
Dopo nove mesi di complessi esperimenti, un gruppo di scienziati della University of New South Wales Sydney in Australia, ha dimostrato la teoria ricreando per la prima volta sulla Terra, il processo chimico in una camera a vuoto con l’aiuto di laser UV che hanno simulato la potenza del Sole. Ecco cosa accade. Quando il Sole inizia a scaldare la cometa, la materia organica del nucleo ghiacciato evapora e si sposta nella chioma. La luce solare rompe le molecole organiche più grandi (processo della fotodissociazione) e crea il carbonio biatomico. Mentre la cometa prosegue il suo viaggio verso il Sole, la radiazione UV estrema rompe le molecole di carbonio biatomico prima che possano allontanarsi dal nucleo e raggiungere la coda.
«Trovo incredibile che qualcuno negli anni ’30 abbia pensato che stesse accadendo proprio questo», ha detto Jasmin Borsovszky, autrice principale dello studio pubblicato sul Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas). Scoperte come queste potrebbero un giorno aiutarci a risolvere altri misteri dello spazio e sull’origine della vita.
Sono circa 3700 le comete conosciute nel sistema solare, alcune osservate con missioni speciali come Giotto e Rosetta, ma potrebbero essercene miliardi.
Immagine in apertura: La cometa Lovejoy (C/2011 W3) scoperta nel 2011 Crediti: Nasa