Una dimostrazione su come estrarre acqua e ossigeno dal suolo lunare è stata presentata ieri all’Europlanet Science Congress 2021 che dal 13 settembre si è svolto on line e si è concluso oggi.

L’esperimento è frutto di una cooperazione tra il Politecnico di Milano, l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e OHB-Italia,  e nasce dall’esigenza di rendere duratura la permanenza degli astronauti sulla Luna, facendo in modo che elementi fondamentali come acqua e ossigeno possano essere a disposizione direttamente sul nostro satellite.

L’ingrediente principale dunque è proprio la materia della superficie lunare, una combinazione di ossido di silicio e ossido di ferro che a loro volta contengono ossigeno.

«La capacità di disporre di impianti efficienti per la produzione di acqua e ossigeno in loco è fondamentale per l’esplorazione umana e per eseguire operazioni di alta qualità direttamente sulla Luna», ha detto Michèle Lavagna, del Politecnico di Milano, che ha guidato lo studio. «Questi esperimenti di laboratorio hanno accresciuto la nostra comprensione di ogni fase del processo. Non è la fine della storia, ma è un ottimo punto di partenza».

Questo sistema si divide in due fasi e utilizza processi di uso comune nella chimica industriale. La polvere che simula il suolo lunare viene riscaldata in un forno a circa 1000 gradi Celsius, un processo chiamato ‘lavaggio’. A questo punto i minerali passano dallo stato solido a quello gassoso. I gas prodotti e il metano residuo vengono inviati ad un convertitore catalitico e a un condensatore che separa l’acqua. L’ossigeno può quindi essere estratto mediante elettrolisi. I sottoprodotti del metano e dell’idrogeno vengono poi riciclati nel sistema per altre risorse utili all’esplorazione in situ della Luna.

Per capire con precisione il processo e predisporre la tecnologia necessaria per una missione, sono stati effettuati esperimenti sulla temperatura del forno, la lunghezza e la frequenza delle fasi di lavaggio, il rapporto delle miscele di gas e la dimensione dei blocchi che simulano il suolo lunare. I risultati hanno mostrato che la resa è massima quando si utilizzano piccole quantità di suolo, alle più alte temperature e utilizzando lunghe fasi di lavaggio.

«I nostri esperimenti mostrano che l’impianto può funzionare in un circuito chiuso quasi completamente autosufficiente, senza la necessità di intervento umano e senza intasarsi», ha concluso infine Lavagna.

Questo sistema, già annunciato a maggio, fa parte del contributo al programma internazionale Artemis-3 e sarà messo a punto nella missione In-situ Resource Utilisation (ISRU).

 

Immagine in apertura: In-Situ Resource Utilisation. Crediti: ESA–K. Oldenburg