Non parlare quando si mangia è una pratica poco seguita tra i buchi neri i quali, quando inghiottono una stella, ci parlano di sé.

Il pasto stellare innesca, infatti, un’esplosione di radiazioni dal nome evento di distruzione mareale: un bagliore che scappa all’attrazione del buco nero ed è in grado di eclissare a lungo la luce di tutte le stelle della galassia in cui il divoratore risiede. Il fenomeno astronomico riesce così a fornirci informazioni importanti sulle caratteristiche del buco nero.

Osservando un evento di distruzione mareale, la sorgente di raggi X dal nome 3XMM J215022.4-055108, una recente ricerca ha fornito misurazioni dettagliate sulla massa e sulla velocità di rotazione del buco nero da cui ha origine, ottenendo indizi assai rilevanti sull’evoluzione di queste entità e sulla fisica della materia oscura.

Pubblicato su The Astrophysical Journal, lo studio ha confermato innanzitutto che il divoratore è un buco nero di massa intermedia, in coerenza con osservazioni precedenti. La convalida è importante in quanto questa categoria, i buchi neri intermedi, è stata a lungo considerata un “anello mancante”. Ora sappiamo collocarsi tra i buchi neri stellari, piccoli e generati dal collasso di stelle massicce, e quelli supermassicci, giganti ospitati al centro di grandi galassie che misurano fino a 10 miliardi di volte la massa solare.

La nuova ricerca ha tuttavia scoperto che il buco nero in esame è più piccolo di quanto prima pensato, con una massa di circa un quinto di quella stimata nel 2020 attraverso le immagini del telescopio Hubble.

Oggi, il team internazionale di astronomi guidati da Sixiang Wen, ricercatore associato presso lo Steward Observatory dell’Università dell’Arizona, ha rianalizzando i dati a raggi X confrontandoli con sofisticati modelli teorici. Il buco nero intermedio risulta così con una massa circa 10 mila volte quella solare.

I buchi neri di massa intermedia assumono particolare valore in quanto, secondo il coautore Peter Jonker, professore di astrofisica della Radboud University in Olanda, «potrebbero essere i semi da cui crescono i buchi neri supermassicci».

La grande novità dello studio sta nello spin, ossia la velocità di rotazione del buco nero, che il gruppo è riuscito a ricavare dalle nuove analisi. Ann Zabludoff, professore di astronomia dell’Università dell’Arizona e coautore dello studio, ha dichiarato che il divoratore cosmico ha «uno spin veloce, ma non il più veloce possibile». Da questa misurazione, il team di ricerca è arrivato a mettere in discussione l’esistenza dei bosoni ultraleggeri, ipotetiche particelle elementari della materia oscura fino ad oggi ancora mai osservate eppure previste da alcuni modelli teorici.

«Se queste particelle esistono e hanno masse in un certo intervallo, impediscono a un buco nero di massa intermedia di avere uno spin veloce –  ha detto il coautore dello studio Nicholas Stone, docente della Hebrew University di Gerusalemme. – Eppure il nostro buco nero intermedio sta girando velocemente. La nostra misura dello spin esclude un’ampia classe di teorie di bosoni ultraleggeri, mostrando il valore dei buchi neri come laboratori extraterrestri per la fisica delle particelle».

 

Crediti immagine in evidenza: NASA/JPL-Caltech