L’acqua è l’oro blu essenziale per la sopravvivenza, sulla Terra così come nello spazio. Ma una volta lasciata l’orbita bassa, questo prezioso liquido resta proprio lo stesso? La domanda può apparire curiosa, eppure non si tratta di un quesito esistenziale.

Quando l’essere umano affronta lunghi periodi in assenza di gravità, il suo corpo subisce dei cambiamenti, dal sistema muscolare a quello osseo. Basti pensare a tutti gli esperimenti svolti sugli astronauti a bordo della Iss, volti proprio a monitorare lo stato di salute degli abitanti della casa spaziale in vista di missioni verso lo spazio profondo, dove le radiazioni saranno decisamente più intense. È legittimo dunque chiedersi se cambiamenti simili possano avvenire anche negli ‘ingredienti’ necessari per la sopravvivenza degli astronauti – primo tra tutti, appunto, l’acqua.

Rispondere a questa domanda era l’obiettivo di una ricerca guidata dall’Arizona State University, che ha esaminato le proprietà dei batteri isolati nel corso di diversi anni all’interno del sistema di acqua potabile della Iss. I risultati di questo lungo e complesso studio sono stati appena pubblicati sulla rivista del gruppo Nature Biofilms and Microbiomes.

I ricercatori, guidati dalla microbiologa Jiseon Yang, hanno dimostrato che le condizioni di microgravità possono effettivamente alterare i microbi presenti nell’acqua potabile (che di base si trovano anche nell’acqua che beviamo qui sulla Terra). In particolare, i batteri isolati nell’acqua della Stazione spaziale internazionale hanno dimostrato una maggiore resistenza a diversi composti antimicrobici, compresi gli antibiotici. Il che significa che questi microbi potrebbero aver subito una trasformazione dovuta proprio alla prolungata permanenza in microgravità.

Inoltre, uno degli isolati batterici, noto come Burkholderia, ha mostrato segni di attività emolitica, ovvero di danneggiamento dei globuli rossi. Questo lo rende un microbo di potenziale preoccupazione per la salute degli astronauti – tanto più se si considera il generale abbassamento delle difese immunitarie che può verificarsi proprio durante lunghe permanenze nello spazio.

I risultati di questo studio potrebbero aiutare a migliorare i futuri meccanismi di riciclo dell’acqua in orbita bassa e oltre. La sfida aggiuntiva per le missioni spaziali infatti è che non si può pensare di portare da Terra tutto ciò che serve per la sopravvivenza degli astronauti. Questo è già in parte valido sulla Iss – e infatti i microbi analizzati da Yang e colleghi erano stati raccolti proprio nel sistema di purificazione dell’acqua di cui tutt’ora si servono gli astronauti. Le future missioni nello spazio profondo richiederanno un utilizzo delle risorse idriche ancora più attento, e un ulteriore sforzo scientifico e tecnologico per garantire acqua ‘sicura’ agli astronauti.

 

Immagine in apertura: L’astronauta dell’Esa Pedro Duque riflesso attraverso una goccia d’acqua sulla Iss (Crediti: Nasa/Esa)