Le drammatiche alluvioni che nei giorni scorsi hanno colpito il nord Europa, causando quasi 200 morti soprattutto in Germania e Belgio, accendono ancora una volta tristemente i riflettori sull’emergenza climatica.

La stessa Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che «la scienza dimostra che con il cambiamento climatico vediamo sempre più fenomeni meteorologici estremi, che durano più a lungo. Episodi simili ci sono stati in passato, certo, ma gli scienziati dicono che l’intensità e la durata di questi nuovi eventi sono una chiara indicazione del cambiamento climatico. Questo ci mostra quanto sia urgente agire».

Secondo quanto riporta l’Organizzazione Metereologica Mondiale, in alcune zone dell’Europa Occidentale è stata registrata in soli due giorni la quantità di pioggia che normalmente cade in due mesi. E questo è accaduto su terreni che erano già vicini alla saturazione, il che ha causato la violenta esondazione di fiumi, le frane e gli smottamenti.

Fenomeni così intensi in un periodo di tempo così breve, come ha ricordato von der Leyen, sono da imputare alle conseguenze del cambiamento climatico. Il riscaldamento globale sta causando progressivamente un aumento delle temperature su tutto il pianeta: questo in alcune zone si traduce in maggiore umidità, e quindi più pioggia.

È una situazione su cui purtroppo gli esperti di clima mettono in guardia da tempo. E le prove principali arrivano dallo spazio: i satelliti forniscono dati sempre più dettagliati sulla correlazione tra climate change e disastri ambientali. Un recente studio della Nasa, ad esempio, dimostra che la velocità con cui l’ecosistema terrestre globale rilascia umidità è aumentata esponenzialmente tra il 2003 e il 2019.

Ma oltre ai sempre più dettagliati studi su ampia scala realizzati a partire dai dati satellitari, continuano a fioccare le ricerche che si concentrano su specifici aspetti del clima terrestre. Dimostrando come l’impronta dell’essere umano stia mettendo sempre più a rischio il pianeta, e la sicurezza delle sue specie – uomo compreso.

Uno studio appena pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) unisce i dati satellitari a quelli metereologici, mostrando che l’aumento delle nuvole è un ulteriore segno dell’aumento delle temperature su scala globale. Un fenomeno a sua volta strettamente legato all’incremento delle immissioni in atmosfera.  Secondo quanto riportano gli autori dello studio, i livelli pre-industriali di CO2 erano di circa 280 ppm (parti per milione). Oggi siamo intorno a 420 ppm, un dato che potrebbe ulteriormente raddoppiare se non verranno fatti tagli significativi alle emissioni.

Obiettivo che per altro rientra nell’agenda europea, con la recente firma a Bruxelles della legge sul clima che dovrebbe portare a ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, per raggiungere poi la cosiddetta neutralità climatica nel 2050.

E intanto c’è chi propone di applicare alla lotta al cambiamento climatico un approccio più interdisciplinare. Come un team di ricerca internazionale di Canada, Stati Uniti e Francia, che in uno altro studio pubblicato su Pnas sostiene l’efficacia di una nuova disciplina in evoluzione chiamata ‘archeologia del cambiamento climatico’. Si tratta di combinare i dati degli scavi archeologici e paleoclimatici per studiare come gli esseri umani abbiano interagito con l’ambiente durante gli eventi di cambiamento climatico del passato, come il riscaldamento che ha seguito l’ultima era glaciale oltre 10.000 anni fa.

Insomma, dai dati satellitari ai dati metereologici passando per quelli archeologici, il messaggio è chiaro: il cambiamento climatico è tra le principali emergenze che tutti i paesi sono chiamati ad affrontare, e questo è il momento di agire.

 

Immagine in apertura: una foto satellitare mostra le inondazioni in nord Europa nel luglio 2021 (Crediti: Esa)