Ha fatto le cose ‘in grande’ e con la sua esplosione ‘tre in uno’ ha fornito alla comunità scientifica dei dati che potrebbero essere d’aiuto per rispondere ad una serie di interrogativi ancora aperti: stiamo parlando del Sole, che nel marzo 2016 ha prodotto un ‘botto’ violento e articolato in più fasi.

Il fenomeno è al centro di un nuovo studio presentato ieri al 238° convegno dell’American Astronomical Society che, anche per questa edizione, si sta svolgendo in modalità virtuale. Il saggio, curato dalla Divisione di Scienze Eliofisiche del Centro Goddard della Nasa e dal Laboratorio di Fisica Applicata della Johns Hopkins University, sarà pubblicato su The Astrophysical Journal Letters ed è disponibile in anteprima sulla piattaforma arxiv.org.

L’indagine si basa sulle osservazioni effettuate da due missioni solari il 12 e il 13 marzo 2016: si tratta di Sdo (Solar Dynamics Observatory) della Nasa e di Soho (Solar and Heliospheric Observatory), che vede insieme Nasa ed Esa. L’esplosione ha suscitato l’interesse dei ricercatori perché in essa vi sono stati riscontrati elementi di tre differenti tipi di eruzioni solari, che in genere si verificano separatamente; l’evento è stato osservato per la prima volta.

Il raro fenomeno è stato considerato dal gruppo di lavoro una sorta di stele di Rosetta ‘solare’, visto che i dati raccolti hanno permesso, in un certo senso, di ‘tradurre’ le caratteristiche di ogni eruzione per indagare i processi che potrebbero esserne alla radice. Gli studiosi, infatti, sono convinti che esse siano prodotte dallo stesso meccanismo che, però, si manifesta a diversi livelli.

Le eruzioni solari di solito si presentano in una di queste tipologie: espulsione di massa coronale (Cme – coronal mass ejection), getto ed eruzione parziale. Le prime due sono assai intense e scagliano energia e particelle nello spazio, ma hanno un aspetto molto differente: le Cme formano ampie bolle che, ‘scolpite’ dal campo magnetico solare, tendono ad espandersi, mentre i getti hanno la forma di colonne di materiale molto strette. Le eruzioni parziali, invece, cominciano ad emergere dalla superficie del Sole, ma non hanno energia a sufficienza per slanciarsi nello spazio; di conseguenza, la maggior parte del loro materiale ricade indietro.

Nell’esplosione del 2016 gli scienziati hanno osservato l’espulsione di uno strato rovente di materiale, al di sopra di un’area del Sole attiva dal punto di vista magnetico; l’emissione era però troppo grande per essere un getto e troppo sottile per essere una Cme. Nel giro di mezz’ora, e dallo stesso luogo, si è verificata un’altra emanazione di materiale che però è ricaduto come eruzione parziale.

Con la consapevolezza acquisita per questa indagine, gli scienziati possono applicare alle Cme le informazioni sinora conosciute sui getti. Comprendere il più possibile i processi sottesi a questi eventi, Cme in primis, è di fondamentale importanza per prevedere quelle eruzioni particolarmente violente che possono causare disagi sulla Terra.

In alto: un’immagine del esplosione composita analizzata nello studio (Crediti: Nasa/Mara Johnson-Groh/Haley Reed).