Esopianeti dall’atmosfera ricca di ossigeno, ma comunque non adatti allo sviluppo della vita: è quanto emerge da uno studio coordinato dall’Università della California-Santa Cruz e appena pubblicato su Agu Advances (articolo: “Oxygen False Positives on Habitable Zone Planets Around Sun‐Like Stars”).

Secondo gli autori, l’ossigeno non sarebbe una ‘firma biologica’ sempre affidabile e questo fattore emerge da una serie di modelli informatici, utilizzati per indagare diversi scenari. Infatti, l’individuazione dell’ossigeno nelle atmosfere esoplanetarie è spesso al centro di vivaci dibattiti e per il team della ricerca va considerata analizzando l’intero contesto.

Le simulazioni hanno avuto per oggetto l’evoluzione di pianeti rocciosi, da quando erano ancora una sfera di magma incandescente fino al loro raffreddamento, passando attraverso varie fasi geochimiche e termiche nel corso di miliardi di anni; inoltre, è stata prestata particolare attenzione alle interazioni tra l’atmosfera e la crosta planetaria. Il gruppo di lavoro, variando gli elementi volatili nelle simulazioni dei pianeti, ha analizzato un’ampia gamma di situazioni.

L’ossigeno può iniziare a svilupparsi su un esopianeta quando l’intensa radiazione ultravioletta suddivide le molecole d’acqua, presenti nell’alta atmosfera, in idrogeno e ossigeno; l’idrogeno, più leggero, generalmente si da alla ‘fuga’ nello spazio, lasciando campo libero al suo ‘compagno’ gassoso. Altri processi, invece, possono rimuovere l’ossigeno dall’atmosfera: ad esempio, il monossido di carbonio e l’idrogeno – emessi dal degassamento dal materiale roccioso fuso – reagiranno con l’ossigeno, che potrà essere ‘ripulito’ anche dai processi erosivi cui sono sottoposte le rocce.

Tra gli scenari ottenuti, numerosi sono quelli in cui è presente l’ossigeno, ma non forme di vita. Ad esempio, un pianeta simile alla Terra, ma che in origine ha avuto maggiori quantità di acqua, avrà alla fine oceani molto profondi che produrranno un’immensa pressione sulla crosta. Questo fattore condurrà ad un blocco dell’attività geologica, compresi quei processi erosivi che avrebbero portato alla rimozione dell’ossigeno dall’atmosfera.

Nello scenario opposto, in cui il pianeta dispone, inizialmente, di una quantità d’acqua relativamente esigua il magma di superficie si raffredderà rapidamente, mentre l’acqua rimarrà nell’atmosfera. Essa diventerà ricca di vapore e concentrerà nella sua parte superiore un ammontare d’acqua tale da consentire l’accumulo dell’ossigeno, mentre l’acqua tenderà a disgregarsi e l’idrogeno a disperdersi. Il tipico processo geochimico che interessa questo tipo di pianeta prevede che, simultaneamente, il magma si solidifichi e l’acqua si condensi in oceani di superficie; ma se si mantiene l’atmosfera satura di vapore dopo che la crosta si è solidificata, si crea una ‘finestra’ di circa un milione di anni in cui vi sono condizioni favorevoli perché l’ossigeno possa svilupparsi.

Un terzo scenario, che ricorda un po’ la situazione di Venere, prevede un pianeta che in origine ha un rapporto più elevato tra acqua e anidride carbonica; questo porterà ad un effetto serra fuori controllo che renderà il corpo celeste troppo caldo perché l’acqua possa condensarsi al di fuori dell’atmosfera e in superficie.

Gli autori del saggio ritengono che il loro lavoro possa essere utile nella ricerca di esopianeti potenzialmente favorevoli alla vita, aiutando gli studiosi a distinguere quelli in cui l’ossigeno si comporta come ‘falso positivo’.

Immagine in alto: i tre principali scenari presi in considerazione lo studio (Crediti: J. Krissansen-Totton).